Il reloaded, anzi il reloa-dead tenetevelo pure, ma giù le mani da Carosello, patrimonio di sogni e cultura d’una intera generazione.
«E dopo Carosello… tutti a nanna!» ripeteva senza appello mia madre tutte le sante sere.
A nulla valevano le suppliche. Il televisore, che aveva rubato alla radio il posto sulla credenza del soggiorno, era arrivato da poco. Prima tutti ammassati, grandi e piccoli, dai vicini del piano di sotto, i soli in tutto lo stabile a possedere il magico arnese.
Canzonissima, l’unico programma che ci consentiva di aggirare il veto materno di andare a letto dopo le nove. Ma noi bambini degli anni ’50 e ’60 eravamo di bocca buona: Carosello con il sipario che si apriva sugli sketch pubblicitari era una roba per cui entusiasmarsi.
Ava come lava, pigolava Calimero, il pulcino nero tornato bianco con il detersivo.
Carmencita abita qui?, chiedeva il Caballero al suono del jingle Dov’è dov’è, dov’è la donna?, per convincere tutti a bere caffè Paulista. La Linea si agitava lungo la sua retta irta d’ostacoli e sussurrava borborigmi incomprensibili finché alla fine spuntava fuori la Lagostina.
Gli spot pubblicitari che si avvicendavano dietro le quinte di Carosello, oltre a reclamizzare il prodotto, crearono miti che divennero più popolari dei divi del cinema o dei cantanti di Sanremo.
Da qualche giorno, sui canali Rai, va in onda Carosello Reloaded, che ripesca la storica sigla riproponendo gli spot che ci martellano 24 ore su 24. Ma i revival funzionano solo se ben interpretati. Preferisco rimanere col ricordo della lucida pelata dell’ometto che non aveva mai usato Brillantina Linetti, piuttosto che ascoltare esperti tricologi che reclamizzano prodigiose ricrescite. Meglio combattere il logorio della vita moderna con un bicchierino di Cynar, piuttosto che assistere alle svenevolezze della bionda che promuove l’ultima marca di whisky. Pure il fiacco Banderas e i suoi bianchi Mulini ve li potete tenere, molto meglio l’atletico greco che scolpiva sulla colonna dorica la enne di Plasmon.