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Cinema Recensioni

HAMMAMET

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Quell’ultimo anno del secolo scorso
“Chi pensa che il mio sia un attacco a Mani Pulite è un cretino”: così Gianni Amelio nel corso di una intervista radiofonica sul suo ultimo lavoro “Hammamet“. Chi ha visto il film – ed è questo il punto – non può che dargli ragione, ma la polemica su una presunta riabilitazione di Craxi divampa comunque sui giornali e sui social. Il regista non lo nomina mai, né lui (le President come lo chiamano le guardie tunisine) né i suoi famigliari, cui viene cambiato il nome di battesimo, solo la cornice è la stessa: la villa di Hammamet, le palme, il grande giardino.
Il film è collocato esattamente nell’ultimo anno del 1900, nel 1999. Io racconto sei mesi di vita di un uomo politico importante fino alla sua morte, ma non è un arco narrativo che somiglia a una biografia, tutto il contrario. Racconto gli spasmi di un’agonia“. Un’agonia fisica (il diabete che lo porterà quasi all’amputazione del piede) e morale (l’abbandono da parte di quasi tutti i suoi ex-compagni; le condanne giudiziarie e di popolo; l’isolamento). La parabola di un uomo potente che ha perso tutto – anche l’onore – e che sembra interrogare se stesso e noi spettatori su cosa sia realmente successo, cercando risposte che non seppe darsi allora e che non vengono date oggi. Padrone della scena è lui, Bettino, con la sua potente stazza, il cranio quasi lucido, gli occhiali; gonfio, la gamba zoppicante – come Garibaldi, canticchia al nipotino – le scarpe da ginnastica. A guardarlo con attenzione e ad ascoltarlo non può che essere lui, lui davvero, in carne ed ossa, tanto impressionante e perfetta è la maschera facciale ricostruita sul volto di quell’attore straordinario che è Pierfrancesco Favino. Troppo somigliante, forse, quasi grottesco il trucco che riproduce come fosse un calco le fattezze craxiane, sarebbe stata sufficiente la voce, identica, studiata a tavolino per giorni e giorni dal bravissimo attore romano. In quel timbro vocale c’è tutto: arroganza, disprezzo, nostalgia, tenerezza per quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Troppo lungo (oltre due ore), troppi i personaggi di contorno oltre alle necessarie figure di famiglia (la moglie un po’ fatua, la figlia fedele ancella, il figlio scontroso, l’amico politico che va a trovarlo, il sempre ottimo Renato Carpentieri, autore cult di Amelio). Inutile il cammeo di Claudia Gerini nel ruolo dell’amante segreta, sovrabbondante e onnipresente quella di Fausto, figlio dell’amico socialista morto suicida; pesanti i siparietti da “Bagaglino”. Insomma un terreno scivoloso quello di raccontare un uomo politico: non c’è la potenza onirica di “Buongiorno, Notte” di Bellocchio che ricorda la prigionia di Moro né quella sottile rivisitazione di Andreotti nel “Divo” di Sorrentino, tanto meno la forza espressiva del ritratto di Buscetta nel “Traditore“.
Ma, nonostante i numerosi appunti messi qui in fila, “Hammamet” resta un film da vedere. “Quell’ultimo anno del secolo scorso” rivisitato da un regista bravo e attento come Amelio, è uno spunto di riflessione per chi quei tempi li ha vissuti in prima persona e per chi, troppo giovane all’epoca, ne sa poco o niente. (Costanza Firrao)
Favino, grande interprete
L’unica cosa che mi è piaciuta di questo film è la meravigliosa interpretazione di Favino che oltre all’elaboratissimo trucco (5 ore al giorno!) che lo rende identico a Craxi è perfetta anche nel modo di camminare e di parlare. Mi sono anche chiesta se dopo il film non gli sia venuta una crisi d’identità! Certo si è voluto raccontare la solitudine di uomo che ha perso il potere e che si trova al crepuscolo della sua vita, abbandonato da tutta la corte di adulatori che gli avevano sempre ronzato intorno, ma non ho ben capito dove il regista voglia veramente parare. Si sa che Amelio non è mai stato schierato politicamente (e va benissimo) ma questa scelta di essere super-partes finisce per dare un’impronta ambigua a tutta la storia. Perché la figlia si chiama Anita quando tutti sappiamo benissimo che nella realtà si chiama Stefania? Sono anche stati aggiunti personaggi piuttosto inutili che non aggiungono niente alla vicenda, come l’amante che lo va a trovare o il ragazzo instabile che si aggira per la casa. I momenti più belli sono il rapporto con la figlia protettiva e con il nipotino ma le immagini che soprattutto mi sono piaciute sono quelle pseudofelliniane: il congresso all’inizio con la musica dell’Internazionale, una scena onirica con lui che si aggira scalzo tra le guglie del duomo di Milano e l’altra con due comici grevi e volgari che lo deridono in palcoscenico. Ma anche per questo il film è ancora una volta “né carne né pesce”, cioè un po’ scollegato, sospeso tra astrazione e mimesi, non abbastanza felliniano e neanche abbastanza realistico e il Craxi-Favino-eroe-tragico finisce per non convincere. Bisogna dare atto ad Amelio il coraggio di averci ricordato questo personaggio politico controverso di cui è giusto riparlare oggi a distanza di molti anni con forse più obiettività, ma non dimentichiamoci comunque che in quella sua meravigliosa villa in Tunisia dove è anche stato girato il film, Bettino Craxi non era in esilio ma latitante. (Giuliana Maldini)
Hammamet di Gianni Amelio – Italia 2020
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