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IL CALCIO DELLE DONNE

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Adesso basta. Ne ho letta troppa di immondizia sul calcio femminile.
Ho cominciato a giocare a pallone a 5 anni. Era il 1960. Al ricevimento dopo la cresima mi sono infilata le superga e con il vestito bianco addosso ho palleggiato per 10 minuti senza che la palla cadesse. Ho giocato in mezzo alla strada, su campetti improvvisati e a 12 anni mi hanno chiesto se volevo far parte della prima squadra che si stava formando, il Milan. Mia madre ha preferito gli studi, come quando mi allenavo per i campionati italiani di tennis junior. Ho studiato ma non ho mai smesso di giocare, obbligatoriamente con i maschi, che prima mi schifavano e poi rifacevano le squadre perché ero troppo forte. Ho continuato per anni finchè cominciarono i primi tornei femminili. Per farla breve ho smesso a 50 anni, legamenti partiti. Nel frattempo ero diventata scrittrice, come voleva la famiglia, e giornalista. Ho commentato Europei di calcio, Mondiali di calcio, Olimpiadi e scritto anche le pagelle delle partite per il mio giornale, L’Unità, assieme a recensioni di libri, rubriche letterarie, etc. Ho tenuto una rubrica sul campionato a Italia Radio e commentavo le partite in diretta. Ne so di tattica e calcio pari ai commentatori televisivi. Quindi parlo:
il calcio femminile, assurto a fasti impensati, dà fastidio a molti che si sono espressi in maniera incivile e misogina anche su quotidiani nazionali. Succede da noi, in altre nazioni, no. Il nostro calcio femminile è ancora dilettantistico, il che si traduce in scarsità di risorse e tempo, che si traduce in pochi allenamenti, poche strutture, pochi soldi. Dalla mia infanzia, quando le bambine avevano paura che la palla sporcasse i loro vestitini, la strada è stata lunga, fatta di fatica, passione, derisione altrui, offese. Ora però si è spalancata e stiamo assistendo nel mondiale in corso a uno spettacolo che ovviamente ha parametri diversi perché diversa è la struttura fisica, ma che fa vedere scorci di bel gioco e colpi di classe. E ci offre un calcio dove si protesta civilmente, non si viene alle mani, si attacca sempre e pazienza se si sbaglia, si sorride molto e si mena poco. Nelle interviste le ragazze sono gentili, parlano un italiano evoluto e soprattutto sanno qual’è il loro ruolo nello sdoganamento dei pregiudizi, ne sono consapevoli. Che siano sposate, siano lesbiche, siano carine o meno, sono unite, insieme, senza stereotipi. Quelli li lasciano ai maschi detrattori che arrivano a schiumare rabbia perché il mondo del calcio non è più solo loro. Le donne sanno fare anche quello, purtroppo per loro e senza di loro. Invece di gioire, invece di includere, aggrediscono. Ma loro, si sa, sono fatti malamente un po’ così.
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VALERIA VIGANO'

Nata a Milano nel 1955, vive tra Roma e Capalbio. Scrittrice e giornalista, docente di scrittura creativa. ha pubblicato Il tennis nel bosco (Theoria ), Prove di vite separate (Rizzoli ), L’ora preferita della sera (Feltrinelli), Il piroscafo olandese (Feltrinelli), Siamo state a Kirkjubaerklaustur (Neri Pozza) La Scomparsa dell’Alfabeto ( Nottetempo). Ha scritto per il teatro e la radio. E’ consulente editoriale e traduttrice. Chief Editor LRI.

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