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Cinema

Il Signor Diavolo

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Un fotogramma del film di Pupi Avati

Quanto deve essersi divertito Pupi Avati a girare questo film livido, macabro, grigio e blu con incursioni nel profondo nero. Come Jep Gambardella, Pupi deve aver pensato che a una certa età si può e si deve liberarsi di lacci e lacciuoli di ogni tipo e darci dentro con ciò che da’ piacere fare.
Quindi ha preso un pugno di attori fedelissimi, anche loro ben stagionati, e li ha messi a fare il coro di questa gothic novel padana non poco inquietante, ambientata dalle parti del delta del Po nei primi anni cinquanta così cari all’autore.
Il tema del film, senza entrare troppo in particolari a rischio spoiler, è la bestia maligna, ovvero il Diavolo, come lo vedeva la cultura contadina di un’Italia ignorante quasi come quella di oggi ma incredibilmente schiava di superstizioni e credenze pseudo religiose. La religione, come le ideologie più autoritarie, ha sempre bisogno di un nemico forte. Un avversario davvero diabolico, quasi potente come il Dio destinato nei sacri testi ad annientarlo sì nell’apocalittica lotta finale, ma che può e deve anche vincere qualche battaglia, a testimonianza del suo maligno prestigio. Un Signor Diavolo, insomma. Che arriva a fagiolo nell’immobile, dormiente piana del Po magistralmente fotografata da Cesare Bastelli, col ghigno suino e col corpo deforme del ragazzo Emilio, subito inquadrato come tenebrosa presenza nel paese e dintorni.
Avati non ci va leggero maneggiando sangue e horror a piene mani, forse esagerando anche un po’. Sarebbe stata sufficiente la tensione continua del plot, ricco di colpi di scena culminanti in un finale un po’ frettoloso, cui non avrebbe nuociuto una preparazione più accurata.
Bravo in blocco il gruppo degli attori, dai ragazzi protagonisti (nota speciale per il terrificante Emilio di Lorenzo Salvatori) alla dolente Chiara Caselli e ai vecchi amici del regista: Capolicchio, Haber, Cavina, Roncato, Bonetti. Vi dico solo i cognomi, tanto li conoscete.

Un altro fotogramma -Il delta del Po

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