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IO MANGIO LE RANE

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Certo, topi vivi proprio no. E’ poco igienico. Inoltre, ora che sono vecchia non sono disposta a mangiare animali che non ho assaggiato in gioventù. Forse farei eccezione per le cavallette fritte, che suppongo sappiano di gamberetti, anche perché ne sono parenti strette. Quando vivevo su al nord, là dove sono nata, però, le coscette di rana me le sono mangiate, fritte in pastella o impanate. Sono buonissime, hanno un delicato sapore che noi chiamavamo il pollo/pesce. In stagione, la sera, uscivamo in compagnia nell’hinterland, dove allora si trovavano ancora le risaie, colme d’acqua a riflettere le luci dei grattacieli di Milano – e nelle trattorie ci aspettavano, naturalmente, le rane. E noi milanesi, naturalmente, le mangiavamo di buon appetito.
Ho mangiato spesso anche le lumache, squisite, con aglio e prezzemolo. Però tutto quell’aglio tritato mi restava un po’ pesante. Nella mia vita ho mangiato anche animali non solo crudi, ma vivi, vivissimi. Ostriche e tartufi di mare, per dire, roba costosa. Prelibatezze per gourmet. Fin da bambina ho adorato i tartufi di terra – che molti schizzinosi trovano intollerabilmente puzzolenti. E persino il caviale, sì, pure quello, che no, non esala fetenti miasmi ittici come molti sostengono. Ma ora non posso più permettermi né gli uni né l’altro.
Nella miseria e nella carestia tutti i popoli hanno mangiato di tutto. Compresi cani, gatti, topi, (le nutrie, vere topone, più di recente), con ottime ricette atte a renderli commestibili. Nell’Italia del Nord con grande abilità, devo dire. Mi sorprende assai che importanti persone venete usino l’accusa di mangiar topi come insulto. Non dovrebbero.

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GIOVANNA NUVOLETTI

Sono nata nel 1942, a Milano. In gioventù ho fatto foto per il Mondo e L’Espresso, che allora erano grandi, in bianco e nero, e attenti alla qualità delle immagini che pubblicavano. Facevo reportage, cercavo immagini serie, impegnate. Mi piaceva, ma i miei tre figli erano piccoli e potevo lavorare poco. Imparavo. Più avanti, quando i ragazzi sono stati più grandi, ho fotografato per vivere. Non ero felice di lavorare in pubblicità e beauty, dove producevo immagini commerciali, senza creatività; ma me la sono cavata. Ogni tanto, per me stessa e pochi clienti speciali, scattavo qualche foto che valeva la pena. Alla fine degli anni ’80 ho cambiato mestiere e sono diventata giornalista. Scrivevo di costume, società e divulgazione scientifica, per diversi periodici. Mi divertivo, mi impegnavo e guadagnavo bene. Ho anche fondato con soci un posto dove si faceva cultura, si beveva bene e si mangiava semplice: il circolo Pietrasanta, a Milano. Poi, credo fosse il 1999, mi è venuta una “piccolissima invalidità” di cui non ho voglia di parlare. Sono rimasta chiusa in casa per quattro/cinque anni, leggendo due libri al giorno. Nel 2005, mi sono ributtata nella vita come potevo: ho trovato un genio adorabile che mi ha insegnato a usare internet. Due giovani amici mi hanno costretta a iscrivermi a FB. Ho pubblicato due romanzi con Fazi, "Dove i gamberi d’acqua dolce non nuotano più" nel 2007 e "L’era del cinghiale rosso" nel 2008, e un ebook con RCS, "Piccolo Manuale di Misoginia" nel 2014. Nel 2011 ho fondato la Rivista che state leggendo, dove dirigo la parte artistico letteraria e dove, finalmente, unisco scrittura e fotografia, nel modo che piace a me.

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