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MAMMA

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autoritratto di Lucia Catania Cavagnaro

autoritratto di Lucia Catania Cavagnaro

Io , forse ci avrete fatto caso, non ho quasi mai parlato di mia madre. E mi sono chiesto tante volte perché. Saranno vent’anni che non ne parlo. Quando fu chiaro che quella notte sarebbe stata l’ultima, me ne sono andato a casa verso le undici, con la testa tanto piena di pensieri da essere vuota. Lei era in camera sua, a letto. C’erano i miei fratelli, c’era tutta un’organizzazione che la seguiva, che l’ha seguita fino alla fine, sono stati bravissimi. Il giorno dopo mi hanno detto che non si era più svegliata, che non si era accorta di niente. Ma io avevo capito tutto, invece.
Al funerale, a Piazza del Popolo, certo che ci sono andato. Però sono uscito dalla chiesa, quasi subito. Non vado mai in chiesa, e quelle poche volte che mi capita lo faccio da solo, per guardare le persone che credono in Dio. Mamma non si è mai capito se ci credeva. Lei credeva in Cristo. Aveva una vera adorazione per Gesù, forse perché lo sentiva più vicino, uno di noi. Pensate che in vacanza, in montagna, si faceva due chilometri a piedi per andare a Messa, la domenica, in una chiesetta dedicata proprio a lui. Al Cristo. C’era un crocefisso antico che la affascinava, una vera opera d’arte.
E lei artista lo era, fino nel midollo. Una pittrice straordinaria, capace però di sacrificare il suo sogno per costruire, a diciotto anni, una famiglia totalizzante, con sei figli. Avrà fatto bene o male? Cosa avrà pensato della sua vita, per sessant’anni?
Sono stato con lei, da solo, tanti anni. Il figlio piccolo, arrivato chissà come e chissà perché, quando nessuno se l’aspettava più.
E così ho fatto finta. Finta che quella sera, quella notte non fosse mai esistita, forse che anche lei non fosse mai esistita.
Adesso è il 2020 e ti scrivo dal mio lazzaretto privato, una casa che non hai mai nemmeno visto, dove vivo un’altra volta da solo. Il nuovo millennio non è stato un granché, mamma.
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