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Morte su Facebook

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In Francia, un malato di una rara malattia incurabile, Alain Cocq, cui la legge sul fine vita lì vigente non concede di andarsene ora come lui desidera, ha deciso di farlo in diretta, giorno per giorno, lasciandosi morire di fame, su Facebook. Che gli ha bloccato il profilo – ma lui ha giurato che troverà un altro modo per mettere la propria fine online.
In questi giorni molti giornalisti e pensatori ne stanno scrivendo ovunque. Ponendosi la domanda: è giusto o no? Andava bloccato o no? E tutti a ruota libera ne parlano sui social. Io, non saprei assolutamente come rispondere. Soprattutto non so come immaginare regole al riguardo. E non mi sento in grado di giudicare. Ma credo di avere qualche riflessione da offrire, nel merito.
Su Facebook, siamo in molti a conservare con affetto i profili di amiche e amici scomparsi, e ogni tanto ci troviamo insieme a ricordarli lì, come fosse un portar fiori su una tomba, ma vicina, a portata di mano. Ho visto anche, pubblicati su FB, molti addii di persone malate, molti ultimi giorni, commoventi e belli. Vi ho letto anche molti “annunci mortuari”, più caldi, sinceri e veri di tanti di quelli ufficiali, e ci ho partecipato con tutto il cuore. E fin qui, secondo me, FB è stata molto positiva e utile nei confronti della morte. Inoltre, la mia antica poesia sul suicidio di mia madre ha avuto negli anni più di 31.000 visite, e infiniti commenti. Forse impudica – o forse ha portato conforto a molte persone. Quindi, forse, Facebook ha commesso uno sbaglio bloccando il profilo di Alain Cocq.
Ma. Quell’uomo ha diritto a mostrare la sua morte in un video, a tutti? Non lo so. Potrebbe definirsi una pubblica istigazione al suicidio? Molti sono i fragili che potrebbero esserne incitati. E quindi sarebbe giusto vietare. Per esempio, certi morbosi siti che invitavano all’anoressia sono stati tolti da internet.
Visto che poi in genere parto da me, perché sono l’unico materiale che ho sottomano, ammetto che mi farebbe malissimo vederlo – che si tratti di suicidio soprattutto, ma anche fosse di morte naturale… dico forte che non VOGLIO vederlo, ho dolore e paura.
Però. Viviamo in una cultura che finge la morte non esista – e poi, magari, lei che sembra così brutta a pensarci adesso, sarà invece bellissima, dopo. Dopo, forse, per ognuna di noi misere creature mortali, c’è una grande luce, a noi oscuramente nota anche in vita, che ci aspetta per avvolgerci. Dio o non dio che sia.
Ma non sono in grado di giudicare, per il resto. E voi, che ne pensate?

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GIOVANNA NUVOLETTI

Sono nata nel 1942, a Milano. In gioventù ho fatto foto per il Mondo e L’Espresso, che allora erano grandi, in bianco e nero, e attenti alla qualità delle immagini che pubblicavano. Facevo reportage, cercavo immagini serie, impegnate. Mi piaceva, ma i miei tre figli erano piccoli e potevo lavorare poco. Imparavo. Più avanti, quando i ragazzi sono stati più grandi, ho fotografato per vivere. Non ero felice di lavorare in pubblicità e beauty, dove producevo immagini commerciali, senza creatività; ma me la sono cavata. Ogni tanto, per me stessa e pochi clienti speciali, scattavo qualche foto che valeva la pena. Alla fine degli anni ’80 ho cambiato mestiere e sono diventata giornalista. Scrivevo di costume, società e divulgazione scientifica, per diversi periodici. Mi divertivo, mi impegnavo e guadagnavo bene. Ho anche fondato con soci un posto dove si faceva cultura, si beveva bene e si mangiava semplice: il circolo Pietrasanta, a Milano. Poi, credo fosse il 1999, mi è venuta una “piccolissima invalidità” di cui non ho voglia di parlare. Sono rimasta chiusa in casa per quattro/cinque anni, leggendo due libri al giorno. Nel 2005, mi sono ributtata nella vita come potevo: ho trovato un genio adorabile che mi ha insegnato a usare internet. Due giovani amici mi hanno costretta a iscrivermi a FB. Ho pubblicato due romanzi con Fazi, "Dove i gamberi d’acqua dolce non nuotano più" nel 2007 e "L’era del cinghiale rosso" nel 2008, e un ebook con RCS, "Piccolo Manuale di Misoginia" nel 2014. Nel 2011 ho fondato la Rivista che state leggendo, dove dirigo la parte artistico letteraria e dove, finalmente, unisco scrittura e fotografia, nel modo che piace a me.

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