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PERCEZIONI

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Immagine di Aglaja

Presi coscienza dello stato in cui mi trovavo. Sentivo un peso addosso che si faceva via via più leggero. Io ero più leggero. Intuivo gli atomi del mio corpo che, man mano, si disunivano e si scindevano diventando altro. Era buio e non riuscivo a vedere ma sentivo, avvertivo. Gli altri quattro sensi erano amplificati come mai prima d’ora. Ero coperto, sommerso, sprofondato nella terra. Terra buona, di castagno; umida e profumata. Note di fiori, di erbe, di selvatico. Tutto era morbido e stavo salendo verso l’alto. Io non ero più ma mi trasformavo in tante microscopiche particelle di me, più piccole di qualsiasi altra, che riuscivano a penetrare ogni cosa incontrassero, vivente o inerte. Ora risalivo veloce. Arrivai sopra il suolo. Riacquistai la vista. Era mattino e mi trovavo in un bosco. Ero morto? Forse ma non mi interessava saperlo. Ero in tutto ciò che mi circondava e quel tutto ero anch’io. Paura, terrore cos’erano? E cos’era la condizione umana, adesso lontana mille miglia. E ansie, problemi, soprusi, violenze, sessismo, guerre. E ancora incomunicabilità, incomprensione, razzismo, noia, inutilità, odio e tutto il campionario del bestiario umano cos’erano? Solo nulla. Io ero in tutto e tutto era in me. Ovunque le mie cellule potevano plasmare e cambiare ogni cosa. Ne facevano parte. Alcune si fecero trasportare dal vento. E continuavano a inviarmi immagini delle montagne boscose, delle rocce che sfidavano il cielo e poi più giù fino ad arrivare agli scogli, alla sabbia, al mare per tuffarcisi dentro, riemergere e tornare indietro. Altre si fecero trasportare dagli uccelli per carpire i segreti dei loro canti; alcune si fusero con un fiero orso e sentivo in me tutta la sua potenza. Poi la giostra proseguì lambendo ogni specie, ogni cosa e i suoi segreti. Non credevo di essere arrivato dove nessun uomo era riuscito ad arrivare. Ero solo cosciente di essere giunto dove di rado si vuole giungere. Oltre le codificazioni religiose o filosofiche. Oltre. Certo solo della mia umiltà davanti all’immenso universo assoluto di cui sono parte ma che non potrò mai né capire né spiegare.
Brutta notte. Febbre alta e dolori ovunque. Non ero riuscito a dormire. I miei pensieri vagolavano in un luogo indistinto. Reale e irreale si fondevano. Maledetta influenza. Però che sensazioni avevo provato. Meravigliose. Sicuramente stavo male ma mi sentivo talmente vivo da dimenticarmene. In fondo sono un uomo fortunato. Finché il sogno farà parte di me con questa intensità varrà la pena di vivere. Anche soffrendo. Sogno? O percezioni?
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GIORGIO LAIKA VANNI

Ho iniziato a scrivere a 15 anni le cronache dei concerti del Grande Rock che passava per Roma. Né critiche né recensioni ma la trasmissione delle emozioni sull'onda della musica, specie il progressive. Ci presi gusto e tra lunghe pause, crisi, sopravvivenza e altro pubblicai il mio primo romanzo nel '98, "Oltre la nostra frontiera" da cui trassi uno spettacolo teatrale che ha girato un po' tra Roma, Napoli e l'Italia centrale. Poi venne "L'uomo che ritorna" e il copione teatrale "Damnatio memoriae" centrato sulla storia di Celestino V. Ammiro gli autori visionari come Orwell e Huxley, non mi so vendere, mi sento spesso un pesce fuori dall'acqua ma studio "cinismo" e "sarcasmo" da anni, purtroppo con scarsissimi risultati. Collaboro con LRì da agosto 2017 che ringrazio per la visibilità che mi concede e cerco di ripagarla con le mie "visioni", criticabili quanto si vuole ma quasi sempre fuori dal coro e non scontate.

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