
Le contraddizioni in seno alla variegata famiglia Shtisel scoppiano, a ritmo continuo, tra padri e figli, mariti e mogli, tra fratelli, amici, conoscenti, fidanzati: a volte in modo plateale altre in modo subdolo – importante che non si sappia in giro. Alla fine li detesti ma li ami anche tutti questi personaggi, in ciascuna/o di loro c’è uno squarcio di poesia che arriva dentro come le luci di Gerusalemme a sera. E mangi con loro le aringhe a colazione e cheesecake a merenda, ridi piangi t’incazzi con quel Dio potente e misericordioso che spesso volta la testa dall’altra parte. Ci si perde negli occhi di lago di Akiva e in quelli scuri e enormi di Rushama, nipote di Shulem e figlia di Gitti, già protagonista di Unorthodox, si trasecola all’affermazione che Sholem Aleichem sarebbe uno scrittore “blasfemo” e ci si indigna davanti a certe meschinità subito riscattate da sorprendenti generosità. Dal finale si capisce che questa serie è al capolinea e verrebbe da piangere, nonostante la difficoltà di seguirla in lingua ebraica o yiddish coi sottotitoli, perché la avverti come qualcosa di prezioso a cui non si può rinunciare. Ma i personaggi e la loro ironia, poesia, saggezza, facondia e insopprimibile capacità di amare restano e resteranno a lungo in una nicchia privilegiata della memoria.