Stelvio, Mortirolo, borracce, bugie and videotapes

Lo Stelvio non c’entra con il ciclismo contemporaneo. Forse non solo con il ciclismo ma con molti altri aspetti della nostra vita odierna, penso guardando le immagini dello Stelvio 1953, vinto da Fausto Coppi proprio su questa strada di tornanti parabolici, fra polvere e malghe desolate. Lo Stelvio non è una salita postmoderna, recente e alla moda come il teatro mediatico del Colle delle Finestre, nè è mai stato sede delle gesta di Pantani come il Mortirolo. Quel Mortirolo dalle pendenze impossibili, per tecnologie avanzate in tutti i sensi, anche illecite, scenario eclatante per gesta effimere. In questi anni applaudire il bell’attacco in salita di qualcuno è stato sempre un gesto rischioso: quasi sempre si scoprivano litri di sostanze dopanti alle spalle del “campione” esaltato oltre ogni limite dai retori De Zan e Bulbarelli. Nessuno si è salvato, quantomeno da forti sospetti, nemmeno gli stupendi Lance Armstrong e Contador. E’ stato un festival della bugia, ed è bene pensarci prima di restare di nuovo incantati, quasi nostro malgrado, di fronte alla bellezza in queste salite e in certi polpacci. Il gusto del Mortirolo è quello di un Gatorade proibito, non dobbiamo dimenticarlo.
Lo Stelvio non sa di epo, cera, autoemotrasfusioni nel frigo e storie tragiche nate per gioco; ha semmai il retrogusto della misteriosa borraccia ricostituente di Fausto o di qualche altro beverone artigianalmente preparato con ricetta segreta quando il doping non si chiamava doping, non aveva nè un nome nè un reato associato, e Nencini vinceva il Tour de France 1960 scolandosi due fiaschi di vino.
Non è forse un fatto casuale che nel 2005, una delle rare volte che si è affrontato lo Stelvio in questi decenni, Ivan Basso si sia preso una cotta disastrosa, devastante come poche nel ciclismo contemporaneo, e fra quei tornanti abbia perso un giro nel quale sulla carta era favoritissimo. L’Italia di Coppi, ma anche quella di Bertoglio, il gregario che, proprio sullo Stelvio, vinse – a sorpresa – il Giro del 75, era un paese di gente che aveva le pezze al culo e tanta speranza in cuore. Poi le abbiamo avute lo stesso, ma abbiamo tentato di nasconderle ad ogni costo e con tutti i mezzi, soprattutto illeciti. Perché siamo assolutamente devoti al successo ad ogni costo? Foss’anche quello di un dopato che dipende da qualche mafietta interna e-o esterna? Dispiace scrivere così di uno sport bellissimo, ma c’è stato puro fango per troppo tempo. Fango anche per noi appassionati. Soffrire ed esaltarsi con i ciclisti, ma restare sempre un minimo scettici. Questo insegna la storia recente.
E sperare che la montagna abbia una sua legge, più forte dei miseri trucchi umani. È lo Stelvio, bellezze.

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