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Poesia

HIC ET NUNC ET ULTRA

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Il mio Io cos’è?
E il Sé inconsistente,
si dice, perché
così impermanente?

E l’Es e l’Ego…
sono alias, o no?
E il Superego?
Questo sì, questo lo so.

È un gran serraglio
o forse vedo doppio.
Che sia un abbaglio,
O un’empia illusione?

Pure nel mazzo
qualcuno tesse e cuce
il grande arazzo
onirico in nuce:

Pigre memorie,
fantasie folli e audaci,
grumi di storie,
figuranti veraci.

(Ma il Me, allora?
Lui è sempre presente
è qui e ora,
solido e immanente.

Finché è tra noi
mi chiama se gli serve:
“Alzati, vuoi?”
Il corpo sempre ferve.)

Come pensieri,
oggi li ho tutti in pugno,
ma presto è ieri,
non resta che un mugugno.

Invece in sogno,
spuntano da ogni parte,
senza bisogno
di logica o di arte.

Prendono forme
familiari o aliene,
da soli o in torme
mascherati per bene.

Selvaggiamente
cambiano pelle e corpi,
dentro la mente
nei suoi fertili orti.
Danzano insieme
uni, trini, in quadriglia,
e male o bene
soddisfano ogni voglia.

Giovani e indenni,
qual è il loro segreto?
Scorrono gli anni
per loro avanti e indietro.

Sono di ogni età,
ma mai nessuno è vecchio.
E sembra realtà,
persino se sonnecchio.

La faccia calda,
come piena di vita;
muoiono all’alba?
Ma intanto l’han vissuta.

Lì non c’è morte
perché all’ultimo, è vero,
si chiudono le porte
sull’incubo più nero.

Ma se apro gli occhi,
rinfilo la corazza,
sento i rintocchi
del mio tempo che avanza.

Tu Me, tu fonte,
vedi la buia ruga,
la faglia in fronte?
Non hai più via di fuga.

Sì, è la verità:
ammettilo, hai paura.
Morire, si sa,
è un’oscura avventura.

(D’altronde è giusto.
Il nulla ci attende.
Il corpo è frusto.
E l’anima si arrende.)

Tu no, signor Sé,
non temi proprio nulla,
e questo perché
già muori sempre in culla.

Quanto a te, Ego,
invano alzi la cresta:
‘Io non mi piego!’.
Tanto non sei che testa.

L’Es è un enigma:
l’Uno inconscio esisterà?
Da antico flegma
Ai suoi pari s’unirà?

A voi, coraggio,
miei avatar erranti,
spetterà invece un viaggio
nella scia dei viventi.

Per quanti e quali?
E il volo, lungo o breve?
Chi avrà le ali?
Chi cadrà come neve?

Chi è stato Amore
guizzerà ancora un poco
in fondo al cuore
di chi scaldò il suo fuoco.

Chi lascia un segno,
Per pallido che sia,
Non sarà indegno
Di un po’ di nostalgia.

Ma alla deriva
subito andrà l’inviso,
già verde oliva,
di grigio oblio intriso.

Però il destino,
per tutti o in maggioranza,
è nel cestino
dell’insignificanza.

(Coro:
“Tanto lavoro
per nulla! Che veleno!
Non dico un oro,
ma un grazie almeno!”)

Lo so, lo so, mi spiace,
mie mondane identità.
Ma presto andrete in pace:
per Me abbiate pietà.

 

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