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Cinema

Con Jonathan Demme

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L'Oscar per "Il silenzio degli innocenti"

Di Jonathan Demme ricorderò, per sempre, il sorriso mite e, allo stesso tempo, gioioso, che non lo abbandonava mai e che mi accolse, quasi fosse un abbraccio, quando, per la prima volta, anni fa, lo intervistai per “Le Conversazioni”, il bellissimo evento culturale organizzato, a New York e a Capri, da Antonio Monda e Davide Azzolini.
Per una che ama il cinema, senza tuttavia vantare conoscenze che non mi appartengono, “conversare” con un premio Oscar era in sé fonte di un’emozione profonda. Conversare, poi, con chi aveva diretto “Philadelphia” e “Il silenzio degli innocenti”, ma anche il mio adorato “Una vedova allegra ma non troppo” con Michelle Pfeiffer e Matthew Modine, fu uno di quei regali che New York, di tanto in tanto ti fa trovare impacchettati con bei fiocchi argentati, come fossimo a Natale.
Demme rispose a ogni domanda, senza mai accartocciare quel sorriso, senza mai ombra di noia o distacco: con passione e interesse. Eppure, sono certa, non gli chiesi nulla di mai chiesto, nulla che suonasse alle sue orecchie come una musica rivelazione, come un’ispirazione. Come quando una notte, tornando a casa in auto, sul George Washington Bridge, la sua mente, mentre inseguiva chissà quale storia, fu conquistata da note sconosciute che accompagnavano parole in una lingua non conosciuta, eppure nota, familiare.
In un tratto di strada, sospeso sull’Hudson, Jonathan Demme incontro’ Enzo Avitabile e i vicoli di Napoli, e le sue paure, il suo coraggio, la sua passione e la sua indolenza, il suo sangue e la sua anima. Mentre mi raccontava dell’incontro, ricordo, sì lo ricordo perfettamente, le lacrime si addensarono nell’angolo delle mie ciglia, dove si annida sempre la nostalgia. Lui parlava e io respiravo il mare di Napoli e sapevo esattamente di cosa parlava. Non lo capivo: lo sapevo. Sulla pelle. E nell’anima.
Se avessi avuto più coraggio, lo avrei abbracciato. Lo feci, senza muovermi e senza abbassare il microfono. E quella sera guardai di nuovo, “Philadelphia” in suo onore.
Ci sono state un altro paio di interviste e una conversazione che mi trapunterà il cuore per sempre, lo scorso dicembre, in un evento privato, in cui lo avvicinai e lui si ricordò di me. Parlammo di Napoli ancora, mentre mi imponevo di ignorare la sua eccessiva magrezza. Parlammo di vita e passione. Lo ringraziai alcune migliaia di volte e lui continuava a sorridere.
Mentre andava via gli chiesi “a quando il prossimo film?” Mancava poco più di un mese all’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. “Nessun film per ora – mi rispose – ora è il momento dell’impegno civile e della resistenza”. Questo e’ il momento della resistenza, Mr. Demme e ci mancherà molto averti al nostro fianco.

Jonathan Demme

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ANGELA VITALIANO

In un giorno di giugno, mentre sua madre stava per lasciare l’ospedale perché “non era ancora tempo”, decise di nascere e, solo per questione di minuti, non lo fece in ascensore, dimostrando subito che sarebbe diventata una gran rompiscatole. Dopo 18 anni a Salerno, si trasferisce a Napoli per frequentare l’Istituto Universitario Orientale, dove si laurea “con lode”. Con la città e’ amore a prima vista ma anche a seconda e terza. E’ quella, infatti, la città che mette in valigia nel 2007 quando, in maniera folle e sconsiderata, si trasferisce a New York per portare a termine un progetto ambizioso: ritrovare la felicita’. Attivita’ nella quale e’ ancora impegnata a tempo pieno. Felicemente. Giornalista di “inchiostro” e “immagini” e’ grata per l’ospitalità al Mattino di Napoli, all’Espresso, alla Rai, a Gioia, a Grazia e all’Huffington Post USA (in inglese). Ha pubblicato 4 racconti in diverse antologie di autori. E’ sicura che un giorno intervisterà Michelle Obama.

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