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Cinema

Dolori cinefili

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Elaborazione immagine G. Maldini

Lo so, lo so che i film in cui vissero felici e contenti non sempre si possono fare, perché anche nella vita è raro essere felici e contenti e soprattutto perché i finali zuccherosi potrebbero banalizzare un bel film. Ma alcuni sono per me autentici dolori cinefili.
Mi soffermo a ricordare quelli in cui una coppia si lascia pur amandosi ancora.
Per esempio Come eravamo: si capisce subito che non filerà tutto liscio, ma dico io: cara Barbra, hai un uomo tra le mani che tutte t’invidierebbero, bello come un Dio (tu sarai anche intelligente e simpatica, ma Robert è fighissimo e soprattutto è molto innamorato di te!), non potresti essere meno rigida? Invece niente, non vuoi compromessi, sei tutta d’un pezzo e così vi lasciate. Quel finale, quando tra l’imbarazzo e la nostalgia s’incontrano dopo anni, è straziante.
Anche Io e Annie, quando Woody e Diane s’incontrano dopo anni, è tristissimo, perché anche se scherzano ricordando i vecchi tempi, comunque niente sarà più come prima, si sa, lo so, anche loro lo sanno.
E che dire di Liza e De Niro in New-York New-York? Pure loro costretti a lasciarsi per seguire le reciproche carriere artistiche. Alla fine quando si rivedono lui tenta di riagganciarla con un appuntamento a cui lei non andrà, e meno male, perché è trascorso troppo tempo e sarebbe una dolorosa e inutile minestra riscaldata.
Per non parlare di Cabaret, con quel finale in cui entrambi sanno che non si rivedranno mai più e alla stazione ferroviaria Liza saluta Michael York senza girarsi indietro mentre il treno sta partendo. Non so se mi è più intollerabile il concetto del “mai più” o l’idea del rivedersi dopo molti anni con l’inutile illusione di ritrovare un feeling perduto.
E non posso certo tralasciare uno degli addii più famosi nella storia del cinema: Casablanca. Lo so che Bogart fa un figurone e che quel finale è un cult movie proprio perché si lasciano, ma io non l’ho mai perdonato perché, che diamine, è un finale maschilista! Humphrey preferisce sacrificare l’amata in nome dell’amicizia tra maschi con i quali condividere “alti” ideali. E fa pure il paterno colpevolizzandola mentre le dice «se questo aereo decollerà e tu non sarai con lui te ne pentirai. Forse non oggi né domani, ma per il resto della tua vita. Un giorno capirai, buona fortuna, bambina» Maddai!
Infine il film che mi ha fatto piangere e piangere e piangere e che se mi capita di rivederlo alla televisione cambio subito canale perché ripiangerei subito: I ponti di Madison County.
«Quello che noi abbiamo avuto non sarebbe potuto continuare se fossimo rimasti insieme», dice Meryl. Ma no! Perché? Non è detto! E ancora: «In quattro giorni mi regalò una vita intera, un universo, ricompose i frammenti del mio essere in un tutto». Mi spiace, cara ragazza, ma non sono d’accordo, quattro giorni con Clint di fronte a una vita intera sono pochissimi; è una frase dolorosissima, come hai potuto accettare di vivere una travolgente passione per un tempo così breve? Terribile mitizzare le perdite e le assenze, io sono per l’amore consumato fino agli sgoccioli di noia con pantofole di quotidianità.
Meglio mille giorni da pecora che un giorno da leone.

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GIULIANA MALDINI

Nata ad Alessandria, ha frequentato pittura all’accademia di Brera e vive a Milano. Artista eclettica lavora in vari settori dalla pittura alla scultura alla fotografia alla scrittura ma è soprattutto un’ umorista. E’ stata la prima donna in Italia a pubblicare un libro di vignette sulla condizione femminile nel 1978 dal titolo “Qui regna amore” con la prefazione di Natalia Aspesi. Ha collaborato per vari periodici tra cui Linus, Amica, Noi donne, Il Male, La Smemoranda, per alcune case farmaceutiche tra le quali la Bracco, per le edizioni Ricordi e per riviste di medicina e di libri. E’ autrice di vari libri umoristici anche per bambini e nel 1995 ha vinto un premio di letteratura per l’infanzia. Le sue tematiche predilette ruotano intorno al mondo femminile e in pittura sono spesso legate al mondo della danza.

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