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Dribblando la morte

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Il portiere rilancia. Il Pescara imposta l’azione. Al limite destro dell’area del Livorno, Morosini si accascia, si rialza, inciampa, tenta un passo di corsa, poi cade faccia a terra, scosso da brevi convulsioni, perde conoscenza. Per sempre.
E’ il trentunesimo di Pescara – Livorno, valevole per il campionato di serie B. Questa la cronaca della partita.
Morosini aveva 26 anni e non era un gladiatore. Né i suoi avversari, nè il pubblico pescarese voleva la sua morte. Perché la morte non è parte del gioco, non è prevista. Nessuno la considera un evento possibile. Nessuno punta su di essa. Non è una variabile.
Non è 1, non è 2 e nemmeno X.
Ma non è nemmeno contemplata tra le probabili cause di sospensione.
Oggi partita sospesa per pioggia, per neve, per il crollo di un’ala dello stadio, per l’ingresso in campo dei militari della Guardia di Finanza.
Ma la morte no. La morte non entra in campo. La morte non gioca.
Piermario Morosini ha avuto il privilegio di giocare con la morte e, come le chiamava Saramago, con le sue intermittenze.
Il primo dribbling l’ha sbilanciata, sul secondo è arrivata in ritardo, al terzo, Piermario non ce l’ha fatta.
Domani qualche cronista dirà che Morosini ha potuto conquistarsi un pezzetto di campo in Paradiso.
Ma Piermario Morosini, classe 1986, non aveva nessun desiderio di questa conquista.

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