IL MIO BORDIN

Il suo sorriso, timido, saggio, ironico. L’ho visto l’ultima volta neanche un mese fa, al compleanno di un amico. Un saluto, uno sguardo, il calore sempre nascosto ma che sempre traspariva – lui lo sapeva che era l’ultima volta, io no.
No, non eravamo amici intimi, solo qualche incontro a semplici cene, qualche scambio umoristico su Facebook – ma lui accoglieva sempre con affetto il mio entusiasmo infantile per lui, per il suo essere un giornalista unico, geniale e mai esibizionista, paziente, lucido, umano. Lui mi accoglieva, alto e curvo com’era.
Dopo quante delle mie terribili notti nere senza sonno, la sua voce roca, ma sempre controllata, mi ridava la pace alle 7,35, su radio Radicale! Mi abbandonavo alla sua lettura dei giornali, mi accoccolavo nella sua razionalità, nel suo equilibrio, nella sua saggezza senza vanità. Mi rimetteva in ordine il mondo. La vita ritornava possibile.
Quanti saremo, centinaia di migliaia in tutta Italia, noi – rimasti senza Massimo Bordin? A piangerlo, a ricordarlo, a volergli ancora e sempre bene. Era unico.
Posso dire che era un vero signore? Nell’accezione più vera e più antica. Sapeva essere severo senza mai, mai, scivolare nella maleducazione. Aveva disciplina nel leggere, mai una papera, mai un inciampo: perché lui ci rispettava, noi ascoltatori bordinomani, ci trattava al meglio. Sapeva che lo meritavamo. Aveva modi ormai unici. Mai una parola neanche lievemente fuori posto. Sì, era elegante, aveva “classe”. Perché era semplice e naturale, e insieme composto.
Il mondo è più stupido senza Massimo Bordin.

Giovanna

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