Il rock è morto Viva il rock

Qualche superficiale ha detto che il rock è stata la colonna sonora di un tot di generazioni, diciamo quelle nate tra la metà degli anni cinquanta e, grosso modo, il 1970.
Non ci siamo, ragazzi. Il rock è stato molto di più di una colonna sonora. E’ stata la struttura portante. Il Vangelo di Matteo descrive, in un famoso passo, come “La pietra scartata dai costruttori sia diventata testata d’angolo”. Testata d’angolo, già. Proprio ciò che è successo a questa musicaccia impostata su tre o quattro accordi, nata in America per dar voce ai lamenti dei neri ma ripresa da quei giovani bianchi che certe sofferenze proprio non le capivano, non le mandavano giù. E si misero a cantare, a far musica insieme a loro magari per dimostrare che anche un bianco sa tirar fuori note belle forti da una chitarra elettrica. Chuck Berry e Bill Haley, insomma.

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Con questi presupposti, il rock non poteva che vincere. Anche perché, in quegli anni miracolosi, l’Europa rispose alla grande e si presentarono via via sulla scena personaggi irripetibili, nati soprattutto in Inghilterra. John Lennon, Mick Jagger e poi mille altri performers e compositori di altissimo livello, che hanno trasformato quei tre accordi nella sinfonia maestosa – una lingua planetaria – che tutto il mondo ancora oggi capisce e ama senza riserve.
Si dice però oggi che il rock sia morto (Don’t Dream it’s over!)*, e che anche il sogno delle grandi idee che questa musica da pelle d’oca ha sostenuto, per tanti anni, con l’energia e le emozioni di un ritmo implacabile, sia svanito nel nulla.
Probabilmente è così, nessuno si illuda. Il fatto è che a sostituirli, il rock e le idee, non si è ancora presentato nessuno.

*”Don’t Dream It’s Over” è stata l’ultima canzone con cui i Crowded House si sono congedati dal pubblico negli ultimi anni novanta.

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