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La fine del giorno, un diario d’amore

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Da quel momento cos’altro avrebbe potuto fare P., se non tentare di non lasciarla mai più sola, fino alla fine del suo giorno nel mondo dei vivi?
Anche gli uomini possono amare. Amare senza guardarsi allo specchio, ma guardando ben fissa l’amata che soffre.
Un marito giornalista famoso, una moglie. Meravigliosa, non famosa. La storia di Silvia, Pigi la racconta parlando di se stesso in terza persona: fragile velo, dietro il quale intreccia anche i brandelli di un libro progettato “prima”, poi abbandonato. E compone, con pudore e professionalità, i pezzi di un amore e di un dolore che non hanno misura. Non grida. Suggerisce, pianamente. Di più, su 15 mesi di cancro, non si può dire.
Uno degli aspetti peggiori dell’averti perduta è che tutte queste domande è impossibile fartele, ormai”.
Silvia. L’ho conosciuta. Un poco. Aveva quasi 20 anni meno di me. Era curiosa, innamorata, viva. Aveva il dono di vedere – il mondo le luci le forme. Il legno, le ombre, la laguna di Orbetello. Ogni tanto, come altri, le porto un fiore, un riflesso d’acqua, una vela, lì, nella sua bacheca di Facebook, dove l’ho incontrata la prima volta.
È il ritorno delle piccole cose che restituisce loro vividezza e intensità, i piccoli gesti dimenticati, i sapori, lo scorcio di un paesaggio, un gioco di nuvole da immortalare con una macchina fotografica super…”. Appunto, il Dio delle piccole cose. Minimalista. Come il giorno che, racconta P., tutti e tre piansero nelle loro stanze, ma piano, per non farsi sentire gli uni con gli altri. Padre, moglie, figlia. “Qualcosa che non voleva cedere di schianto. E non voleva dargliela vinta”.
(Il funerale di Silvia, nella sala Valdese. Niente è più spirituale di un funerale laico. A di là dei riti, senza riti, solo la nettezza, la bellezza: una persona, Silvia. Grazie, Pigi)

 

 

LA FINE DEL GIORNO, PIERLUIGI BATTISTA
RIZZOLI
pp. 180 – 11.99 euro

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GIOVANNA NUVOLETTI

Sono nata nel 1942, a Milano. In gioventù ho fatto foto per il Mondo e L’Espresso, che allora erano grandi, in bianco e nero, e attenti alla qualità delle immagini che pubblicavano. Facevo reportage, cercavo immagini serie, impegnate. Mi piaceva, ma i miei tre figli erano piccoli e potevo lavorare poco. Imparavo. Più avanti, quando i ragazzi sono stati più grandi, ho fotografato per vivere. Non ero felice di lavorare in pubblicità e beauty, dove producevo immagini commerciali, senza creatività; ma me la sono cavata. Ogni tanto, per me stessa e pochi clienti speciali, scattavo qualche foto che valeva la pena. Alla fine degli anni ’80 ho cambiato mestiere e sono diventata giornalista. Scrivevo di costume, società e divulgazione scientifica, per diversi periodici. Mi divertivo, mi impegnavo e guadagnavo bene. Ho anche fondato con soci un posto dove si faceva cultura, si beveva bene e si mangiava semplice: il circolo Pietrasanta, a Milano. Poi, credo fosse il 1999, mi è venuta una “piccolissima invalidità” di cui non ho voglia di parlare. Sono rimasta chiusa in casa per quattro/cinque anni, leggendo due libri al giorno. Nel 2005, mi sono ributtata nella vita come potevo: ho trovato un genio adorabile che mi ha insegnato a usare internet. Due giovani amici mi hanno costretta a iscrivermi a FB. Ho pubblicato due romanzi con Fazi, "Dove i gamberi d’acqua dolce non nuotano più" nel 2007 e "L’era del cinghiale rosso" nel 2008, e un ebook con RCS, "Piccolo Manuale di Misoginia" nel 2014. Nel 2011 ho fondato la Rivista che state leggendo, dove dirigo la parte artistico letteraria e dove, finalmente, unisco scrittura e fotografia, nel modo che piace a me.

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