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La sveglia nella calle

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La sveglia inizia alle sei meno un quarto dal bar-bruschetteria sottocasa,

The best in Venice, pim, pum , pam di porte sbattute, di sedie e tavolini spostati, di su e giù per le scale.

Clienti mattinieri si salutano gridando per la gioia di essere vivi credo, commentando qualche fatto : «Ti ga visto, ah? Cossa te par? Se stava megio co se stava peso; ghe vorìa un castigamati, tuti in gaera», «vorìa aver i to schèi; gnente cafè, vado a cavarme el sangue al Giustinian».

Alle sette e mezza si alzano le prime arrugginite saracinesche e il chihuahua Aron abbaia fastidioso, ma non tanto quanto gli inutili bastaaa della padrona.

Verso le otto arriva la vociante fiumana studentesca, che in pochi minuti si sparpaglia tra elementari, medie, licei; poi le insegnanti (sento solo toni femminili), quindi le mamme coi passeggini per asili e nidi: poche rapide informazioni e troppi ciaoo, ciaoo, col birignao.

Adesso si sollevano tutte le altre diciannove serrande della calle: ultimi gli antiquari e i galleristi.

È arrivata l’ora dei netturbini: un uomo e una donna che al grido di spazzinooo, atansion! suonano per il porta a porta .

Bisogna proprio alzarsi e aprire.

«Grazie e bongiorno»

«Grazie e bongiorno, a domani».

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