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Josef Mengele, il dottor Morte

Auschwitz. Centinaia di pullman nei parcheggi, migliaia di persone che si affollano verso l’ingresso, per l’abbinamento con le guide e gli auricolari. INGRESSO GRATUITO! A noi tocca un simpatico anziano professore… in lingua polacca. Ma Ursula è molto brava a farci da interprete. C’è uno strano silenzio. No, c’è un rispettoso silenzio. Si sente solo parlare, in tutte le lingue, la guida che sta alla testa di ogni gruppo. Sguardi di incredulità e occhi lucidi. Le macchine fotografiche e i telefonini lavorano, con pudore molto sotto la media della vita fuori di lì.
Superata la storica porta d’ingresso al campo mi è sembrato di vederlo.
Era in divisa di colonnello, inappuntabile con gli stivali lucidissimi e perfettamente sbarbato. L’espressione del niente mentre socchiudeva appena gli occhi per cogliere ogni particolare da quei corpi ancora vestiti di umanità che gli sfilavano di fronte. Il dr. Josef Mengele (il dottor Morte) usa solo un movimento del pollice della mano sinistra per indicare, a quei disperati, da che parte andare. Da una parte la morte certa e dall’altra una vita breve e terribile tra le sue mani di scienziato folle.
Di pazzi criminali non c’era solo lui. Studiosi tedeschi stabilivano la giusta quantità di sassolini (Zyklon B) da immettere nei tubi che producevano il gas nelle camere. Un calcolo meticoloso, che stabilì quanti ce ne volessero per ognuno presente nella camera. Il comando tedesco viveva nell’incubo di rimanere a corto di sassolini.

Widowice – Ragazzi con bandiere di Israele

La visita ad altri campi di sterminio come quello di Wadowice è anche peggio. Per uno strano caso del destino, ci imbattiamo all’uscita, in un gruppo di giovani israeliani venuti a “vedere l’orrore”. Hanno bandiere e sono, come tutti i giovani, chiassosi, e ci viene spontaneo fraternizzare ed essere partecipi con loro: tentano a loro modo di esorcizzare, certo, non di dimenticare tanta tristezza e tanto dolore.
Quel chiasso rinfranca un poco anche noi, pensando che per questi ragazzi la vita potrà essere diversa e l’augurio glielo abbiamo trasmesso con tutto il cuore.

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ANTONIO QUAGLIARELLA

Pugliese del ’44, una decina d’anni in ogni provincia e, partendo da Lecce, ha emigrato nel 2003 in Lombardia. Proprio l’anno del grande caldo, con questa regione in testa per il maggior numero di anziani sopravvissuti. Sempre nel campo finanziario, ha smesso (fortunatamente) di dare consigli il 30 aprile del 2013. Servizio militare assolto con gioia e onore nei Parà, la Toscana gli entra nel cuore in quel periodo, era 1968. Non resiste per tanto tempo a niente e a nessuno, quando ha potuto farlo si muove di conseguenza, riconoscendosi il merito di saper vivere con piacere in contesti molto complessi e diversi e questo sin da bambino. Ogni volta prova la stessa sensazione di avere di fronte una vita nuova di zecca da scoprire e questo gli moltiplica le forze. Viene cooptato nel Rotary International e si merita la Paul Harris Fellow, appena prima che istituissero il numero chiuso per i terroni. Questo continuo frazionamento di vita lo porta alla convinzione che l’ultima persona vicina non potrebbe mai avere sottomano una storia completa (quasi) della sua vita. Così comincia a scrivere. Ne fa le spese, di questo fiume di inchiostro, La Rivista Intelligente e la sua “mamma” Giovanna. Essere sé stessi sempre, qualche volta anche juventino, ha un prezzo da pagare. Solo una donna sempre al suo fianco, dai tempi della migrazione e l’accoglienza, continua a fargli sconti e a dargli credito e lui l’ha legata a doppio filo alla sua vita, ormai finalmente stanziale.

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