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Un ebreo fortunato

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La sinagoga risplende nella notte di Roma - Foto di Giovanna Nuvoletti

Nella “Giornata della Memoria” pubblichiamo il ricordo scritto per noi da Anna Segre in occasione della morte di Sion Burbea, il 19 gennaio 2018 (clicca qui)

È morto ieri Sion Burbea.
Aveva le mani lisce, calde.
Ci ricevette dietro l’Aron ha Kodesh*. Fu un’intervista sorprendente, perché lui sorrideva e decantava la propria fortuna, quasi non sembrava che dicesse quel che invece diceva, da come raccontava.
Quella stanzetta del tempio è piccola, senza luce. Ma lui la scoperchiava di spiritualità, faceva entrare un respiro, un ossigeno di fede e di speranza: ci spiazzò, ci indusse alla riflessione. Quanto per noi fossero più facili la rabbia e la paura piuttosto che. Qualsiasi altro che.
Sion Burbea era l’altro che.

Il racconto di Sion Burbea

Ci arrestarono gli italiani a Tripoli
in quanto cittadini inglesi.
Ci deportarono i tedeschi in Italia
in quanto ebrei.
A Bergen Belsen ci picchiarono
senza distinzione
uomini donne bambini e vecchi.
Il rabbino olandese sapeva calcolare
quando rosh ha shanà e kippur.
Il rabbino lo sapeva e anche i nazisti:
nel giorno sacro
più lavoro che negli altri giorni.
Ho subìto arresto, deportazione,
campo di sterminio
esproprio della mia casa e dei miei averi,
tre pogrom, l’invalidazione dei documenti,
la proibizione di varcare i confini.
Sono un ebreo fortunato:
la mia famiglia si è salvata da tutto ciò.
Se mi cerchi, mi trovi nella sinagoga
di via Veronesi,
ho le chiavi per entrare e
per aprire l’Aron ha Kodesh.
La religione è la mia patria,
le ricorrenze scandiscono il mio tempo:
impossibile esiliarmi
dalla mia fede.

*Armadio sacro che nelle sinagoghe contiene i rotoli della legge

 

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