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Concorso letterario ellerì

Pasta madre

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E’ una bella giornata, sembra primavera, ma non lo è, devi guardare il calendario per capirlo…gli alberi hanno ancora le loro foglie, ma stanno colorandosi d’autunno, c’è il sole timido del mattino che entra dalla finestra della casa di Alba. E’ martedì, giorno di pane.
Pasta madre antica, ma ancora viva. Farina di grano antico macinata a pietra, si comincia ad impastare…si trattasse solo di farina e di fare il pane, sarebbe facile, ma noi ci mettiamo tutto quello che attraversa il nostro cuore, quanto basta.
Improvvisamente squilla il mio cellulare, interrome e irrompe in questo rituale, il display illumina la scritta figlia preferita, è uno scherzo di mia figlia, l’unica che ho e appunto la preferita.
La sua voce è alterata, ma non capisco che è la gioia, mi dice: mamma sono incinta, ho fatto il test due righette blu, mamma hai capito?
Certo che ho capito, gioisco con lei, come mi riesce.
Appoggio il cellulare sul tavolo, è sporco, sono rimasti attaccati pezzetti di impasto, non lo pulisco, la traccia di quella telefonata rimane lì, ma una rosa malinconia mi avvolge, un nero pensiero mi cattura, quello della mia mamma, del suo legame con me, e in un attimo arriva l’inverno dei ricordi…
Mamma…
Che cosa posso fare per farmi amare?
Per essere all’altezza delle tue aspettative?
Per non farti essere arrabbiata?
Mamma parla con me, dimmi che cosa pensi della vita, cosa avresti voluto…
L’impasto è pronto, adesso ci spostiamo fuori, c’è il forno da accendere, da scaldare.
Faccio io stamani la fuochista, meno male posso stare con la testa al caldo, bruciarmi le guance, respirare il fumo denso del fuoco che non ne vuole sapere di prendere.
Per anni mi son chiesta queste cose. Per anni ho cercato una strada dove incontrarti, una velocità da assumere per raggiungerti. Per anni ho pensato che era colpa mia, non mi impegnavo abbastanza, ti deludevo sempre: io la preferita, la cocca di casa, il bastone della vecchiaia.
Per anni ho lottato credendo che il gioco fosse regolare.
Poi ho iniziato a ribellarmi, a imporre e contrattare la mia vita, le mie scelte e tu?
Sei passata al contrattacco, mi screditavi continuamente, me, le mie amiche, poi tutto quello che per me era importante: mia figlia e mio marito, la mia vita, me stessa.
Mi hai ferito profondamente, e io scivolavo giù sempre più giù, ripiegata su me stessa, chiusa dentro un bozzolo.
Nessuno poteva aiutarmi, non davo la mano a nessuno, non sentivo e non vedevo più niente, vivevo in una bolla di nebbia, in un labirinto di specchi che deformava tutto, prima di tutto e soprattutto me stessa. Una cosa sola riuscivo a fare: scrivere pagine e pagine, fogli spiegazzati, scritti con le lacrime, con un inchiostro nero come il dolore. Per anni ho macinato chilometri e chilometri di tristezza con passi incerti, timorosa di cadere ancora più giù.
Una sola cosa riuscivo a fare: leggere, leggere storie nelle quali cercavo aiuto, una via d’uscita.
Poi non so come, e non so quando, ma ti ho uccisa, l’ho dovuto fare per sopravvivere, per tornare a vivere, per darmi una possibilità.
Ti ho uccisa simbolicamente, ho cominciato a alzare muri e steccati per difendere me e la mia vita.
Il bozzolo piano piano si è bucato, dissolto e un’aria fresca mi ha avvolto, lentamente a cominciato a prender forma un’immagine nuova, ero io e finalmente ho ripreso a vivere.
Ma il cammino è in salita, per resistere ogni giorno devi ricordarti chi sei, devi combattere con i sensi di colpa di non essere una buona figlia, come vorresti essere, come avresti voluto essere.
Ogni giorno devi ricordarti perché hai alzato quel muro, il passato è il mio presente e condiziona il mio futuro. Ogni volta che ho dimenticato, che mi sono rilassata, che ho abbassato la guardia, tu hai colpito, inesorabile e io ho sofferto, subito e attaccato. A che gioco abbiamo giocato? Chi ha messo le regole? Quando è iniziato? Perché non abbiamo saputo interromperlo?
Averti ucciso non è bastato.
Come tutti i crimini si portano dietro una condanna, anche io ho la mia.
Un ergastolo, o quasi. Una condanna a vita di sensi di colpa. Una vita dove non passa giorno senza dover riaggiustare e riposizionare continuamente l’immagine ideale di come avrei voluto essere, di come avrei potuto essere con una madre normale.
Il forno è caldo, ho bruciato pensieri, ho bruciato anni della mia vita, ho bruciato la mia sofferenza.
Mi sento come una vecchia foglia attaccata al suo albero, ma è autunno, le foglie diventano leggere, volano lontano dall’albero…
Il pane è ancora in forno, ma come ogni volta ci siamo preparate una schiacciata croccante con sopra le briciole di impasto, come quelle attaccate al mio cellulare, ne mangio un pezzo, è calda e buona…sorrido…Mamma sono incinta…
La vita ricomincia, tre donne, tre vite e tre storie…peccato che non ci sei più, oh forse no…avresti rovinato questo momento di gioia, li hai rovinati tutti uno dopo l’altro, sempre, ogni volta.


 

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