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Da qui ai ballottaggi

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La "Sala delle bandiere" in Campidoglio

 

Quando analizzo risultati elettorali, a me piace partire dai numeri assoluti; lo sa chi si è già imbattuto in qualcuna di queste mie note.

 

Mi limiterò qui a cinque capoluoghi di Regione che andranno al ballottaggio. Prendo i due punti di riferimento più vicini: le elezioni politiche del 2013 e quelle europee del 2014; e confronto il risultato di ieri a questi due precedenti. So bene che è diminuito il numero dei votanti; sul 2013 e – con l’eccezione di Roma e Napoli – anche sul 2014. Ma le variazioni – sia per le diverse liste, sia per la stessa lista nelle diverse città – non sono sempre o esclusivamente in proporzione alla diminuzione dei votanti. Vengono, perciò, in evidenza aspetti interessanti, e importanti.

 

Cominciamo da Torino. Fassino ottiene 160 mila voti e rotti; all’incirca 10.000 in meno di quelli raccolti da Bersani nel 2013 e quasi 30.000 in meno dell’exploit del PD “renziano” alle europee del 2014. La candidata di M5S assomma un po’ più di 107.000 voti; si colloca, così, a metà fra il 2014 (circa 91 mila voti) e il 2013 (128.149). A destra, i due candidati sostenuti da Lega e FdI l’uno e ForzaItalia l’altro, superano a fatica, insieme, i 50 mila voti, a confronto con gli oltre 114.000 e gli 87.000 totalizzata dalla stessa area politica rispettivamente nel 2013 e nel 2014.

 

A Milano dominano la competizione Sala e Parisi. Non è tuttavia irrilevante il particolare che M5S, accreditato di oltre 121.000 voti nel 2013 e di quasi 82.000 nel 2014, ne abbia raccolti ieri poco più di 52.000. Quanto ai due protagonisti maggiori, Parisi, con 206.195 voti ha replicato quasi alla perfezione la cifra di Berlusconi nel 2013 (207.646 voti). Sala, invece, conta quasi 20.000 voti meno del Bersani 2013 e oltre 30.000 meno del PD “renziano” del 2014.

 

Bologna e Roma sembrano accomunate da un dato che non risulta altrove, almeno in queste dimensioni. Mi riferisco alla pesante caduta del PD sia rispetto al 2013 che al 2014. A Bologna la perdita è del 46% sui voti assoluti ottenuti alle politiche e del 44% su quelli delle europee. A Roma, le percentuali sono: -42% sul 2013, -38% sul 2014.

 

Con la differenza che Roma è stata teatro di vicende che hanno riempito le cronache per mesi e che obbligavano a prevedere una consistente contrazione dei suffragi al PD. Nulla di paragonabile c’è stato a Bologna. Cosicché questo risultato, seguito a quello delle regionali del novembre 2014, quando votò appena il 37,71% degli aventi diritto, consiglia di cercare cause non occasionali ma strutturali, per spiegare una difficoltà che si prolunga.

 

Quanto ai competitori con cui il PD dovrà misurarsi nei ballottaggi, a Roma Virginia Raggi è giunta in vista del record registrato da M5S tre anni fa: 406 mila voti contro i 436 mila del 2013. La Bergonzoni, a Bologna, si colloca (con 37.000 voti) a metà fra il risultato della sua coalizione nel 2013 (41 mila) e nel 2014 (31 mila).

 

Napoli fa caso a sé; non solo per la unicità delle caratteristiche di De Magistris, ma anche perché, unico fra i capoluoghi di regione, non vede al ballottaggio il PD. E’ la conferma di una crisi di lunga durata, tutt’ora irrisolta.

 

Tutti questi numeri possono aiutare anche a capire qualcosa di più sui ballottaggi che ci attendono. Si riscontrano, infatti, due situazioni molto diverse. Il M5S, a Torino e a Roma, è molto vicino al punto di massima espansione del 2013; le sue chances di vittoria dipendono dalla capacità espansiva che dimostrerà; la capacità, cioè, di attirare nuovi elettori che non lo hanno mai votato. Più o meno lo stesso vale per Parisi a Milano e Bergonzoni a Bologna.

 

I candidati del PD – tutti – hanno invece un compito di altro genere: motivare al voto e riconquistare una parte almeno degli elettori che, appena due anni fa, avevano contribuito al 40% delle europee. Per Fassino si tratta di 30.000, per Sala di 40.000, per Merola di 34.000, per Giachetti di circa 200.000. Perché questi elettori non dovrebbero essere sensibili ad un invito, ad una sollecitazione ben motivati? E, comunque, le possibilità di successo dei candidati PD dipendono da questa “riconquista” piuttosto che dal reclutamento di elettori completamente “nuovi”.

 

Nei ballottaggi, tutti, da una parte e dall’altra, si rivolgeranno anche agli elettori che hanno dato il voto a candidati usciti dalla gara, qualunque ne fosse il colore e l’inclinazione. Il PD, però, deve innanzitutto dedicare la massima attenzione al capiente serbatoio che due anni fa si era dichiarato “suo” e che, questa volta, non ha ancora ritenuto di doversi muovere. Se il contatto scoccasse, e ne venissero effetti tangibili, sarebbe importante; non solo per l’esito finale di questo turno amministrativo.

 

CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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