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12738998 SI Referendum vinto

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Già lo sento, il gran coro di lamenti e di denunce che lunedì si leverà in Italia: si deve modificare la legge che regola i referendum, altrimenti l’istituto cade in disuso per l’impossibilità di raggiungere il quorum. E verranno riproposte – c’è da giurarci – le idee volte ad abbassarlo; per esempio prendere a riferimento non gli “aventi diritto” (tutti i cittadini elettori) ma solo coloro che il diritto dimostrano di esercitarlo effettivamente, avendo votato nelle elezioni politiche generali immediatamente precedenti.
Non mi convince affatto. Con la attuale bassa affluenza alle urne che tende a ridursi ulteriormente, si sconterebbe la stessa progressiva riduzione del numero dei votanti anche per i referendum. Tanto varrebbe, allora, abolire il vincolo del quorum di partecipazione; ma, così, i verdetti referendari perderebbero almeno un po’ della forza e della autorevolezza che deriva proprio da quel vincolo.
Io penso che la soluzione giusta sia un’altra, nel rispetto pieno dello spirito della Costituzione e delle intenzioni del costituente. Vediamo. L’art. 75 pone due condizioni per l’approvazione delle proposte soggette a referendum: quella – ovvia tanto che nessuno può metterla in discussione – per cui la proposta stessa deve ottenere la maggioranza dei voti validamente espressi, e l’altra: che partecipi alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, il famigerato “quorum”.
Alla luce non solo dei principi ma anche del buonsenso democratico non mi sembra ci sia qualcosa che non va neppure in questa seconda condizione. C’è però un dato di fatto storico: il raggiungimento del quorum è diventato ostacolo che minaccia la sopravvivenza stessa dell’istituto referendario non perché il principio enunciato in Costituzione abbia perso la sua intrinseca validità, ma perché un numero crescente di “aventi diritto” non esercita più quel diritto. Cosicché chi non partecipa al voto rende difficile il raggiungimento del quorum; raggiungimento che diventa impossibile se chi è contrario alla proposta decide di astenersi anch’esso dal votare. Come tutti vedono, ormai da tempo le campagne referendarie vedono mobilitati (quando si mobilitano) i sostenitori dei SI; per i contrari è molto più conveniente tacere e latitare confidando sulla zavorra decisiva degli astensionisti consolidati. In queste condizioni, la certezza assoluta della approvazione di una proposta si avrebbe solo se i SI fossero in numero tale da assicurare da soli il raggiungimento del quorum; un evidente paradosso che non si può certo imputare alla Costituzione.
La soluzione? Semplice, come l’uovo di Colombo. Basterebbe fissare la regola per cui la proposta sottoposta a referendum risulta approvata se raccoglie un numero di voti validi pari al 25% più uno degli aventi diritto al voto; e a condizione – ovviamente – che questa sia la maggioranza dei voti validamente espressi. Le due condizioni previste dall’articolo 75 sarebbero, così, ambedue rispettate; intrecciate anziché separate come sono nel testo attuale.
E’ infatti evidente che per sconfiggere un SI che rispetta la suddetta condizione sarebbe necessario un NO pari almeno al 25% più due degli aventi diritto; nel qual caso saremmo al 50% più tre degli aventi diritto e il quorum previsto dalla Costituzione sarebbe assicurato. Ma se i NO non raggiungessero quel livello non potrebbero ottenere la vanificazione del referendum arruolando nelle loro fila tutti quelli che non sono andati a votare.
La regola, dunque, non ferirebbe la Costituzione; metterebbe invece in fuori gioco la furbizia e la pigrizia dei contrari, i quali nel timore che i favorevoli possano superare l’asticella del 25% dovrebbero mobilitarsi per sconfiggerli sul campo senza contare sulla gran massa degli astensionisti cronici. Ne guadagnerebbero non solo i referendum ma la democrazia e la partecipazione; nel rispetto della libertà di tutti, anche degli astensionisti.
Nell’ultimo referendum del 2020 (sulla riduzione del numero dei parlamentari) gli aventi diritto – Italia e estero – risultano essere 50.955.985; il 25% più uno dà 12.738.998. Fosse in vigore la norma che ho esposto un pari numero di SI comporterebbe l’approvazione delle proposte sottoposte a referendum. A meno che non si contasse un numero superiore di NO, con la conseguenza automatica del raggiungimento del quorum.
Vedremo domenica. Fosse così, l’attesa del voto e del suo esito sarebbe molto più interessante. Frizzante, perfino; davvero referendaria!

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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