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Aeroporto

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Sto lì, davanti al cartellone Arrivi, aspettando che mia madre atterri. Non ci vediamo da mesi. Sento il fastidio provocato dai bambini irritati da un ambiente a cui non sono abituati. Aeroporto. Il mio cuore sobbalza. Mamma, cerca di ritirare la valigia prima di uscire, non fare come l’altra volta, penso. Poi il pensiero si fa sguardo: facce, corpi, varietà di nazioni. Alcuni tristi, altri gioiosi, sempre un po’ stanchi dal volo. Esce una donna araba con i suoi piccoli figli. Il marito li accoglie, lei rimane appesa al desiderio di essere amata, trascinando la valigia pesante e grossa da sola. Amici che si attendono, lingue diverse che si incontrano. Da scattare con la fotocamera, ma l’ho lasciata a casa per non spiare con tanta evidenza. E poi gli odori, oh, alcuni dolci, altri tanto invadenti da farmi spostare. I cani piccoli, i gatti in gabbia, i profumi di bar e libri, di tanta fretta mischiata con: «Rimani, dove vai, non ancora». I panini freddi mangiati distrattamente sui sedili d’attesa. Il rumore, gli annunci, il check-in, le code, i biglietti in mano.
Strano posto l’aeroporto. Sembrano tutti di passaggio, ma lasciano nei lunghi corridoi importanti parti di sé, e il pensiero che, se non parti non ti attendono, ti amano di meno o ti dimenticano.
Eccola, esce! Mi abbracciano in due: lei e la sua valigia accanto.

Immagine Sabrina Suadoni

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