Lui si chiama Antonio: ha cinquant’ anni, ciglia folte, capelli scuri, naso corvino e sopra i tratti marcati del viso, una barba incolta. «È un uomo strano, scorbutico, solitario», così lo descrive la gente di qui.
Sua madre, un’appassionata d’arte scomparsa l’anno precedente al mio arrivo in questo paesino della val Brembana, pare gli diede nome in onore di un altro Antonio: Ligabue, il pittore naif. Come lui, ora, anche suo figlio è rimasto solo: vive in una casa diroccata in condizioni pietose d’indigenza, vaga nei boschi, ulula alla luna, imita il verso degli animali.
Di giorno sfreccia a cavallo della sua motocicletta rossa tutta sgangherata. Ecco che allora, qualcuno, impietosamente divertito, sghignazza, ammicca, esclama ad alta voce «arda, ol mat!».
Antonio… Io l’incontro spesso lungo il fiume: un luogo di rifugio, per me, e forse anche per lui, durante le nostre rispettive fughe. A me si avvicina, sorride. Nel frattempo, disegna linee immaginarie compiendo strane evoluzioni feline a mezz’aria, per poi sbottare subito dopo qualcosa in una lingua incomprensibile e andarsene senza neanche salutare.
Lo guardo mentre si allontana attraverso i buchi degli abiti sdruciti: un bambino innocuo ma inopportuno, con le scarpe slacciate, la patta dei pantaloni sempre semi aperta. Un bambino a tratti, timido e osceno, esplicito sulla scena e fuori dal coro. Il medesimo coro che puntualmente, di domenica, mi esorta a non dargli confidenza, quando ci s’incontra sul sagrato della chiesa per partecipare “tutti insieme” alla messa, alla funzione da cui Antonio “ol mat” è regolarmente escluso. Perché «non è bene disturbare la quiete e la morale pubblica».
Eppure è lo stesso uomo che ho visto per un anno, ogni giorno, acquistare un cartoccio di latte e poi scaraventarsi sotto il ponte ad allattare, con un piccolo biberon, un nugolo di gattini affamati, anch’essi rimasti orfani, troppo presto, di una bella gatta rossiccia.
A spasso lungo il fiume ci vedono passeggiare insieme: “la sabauda” e Antonio “ol mat”! Sulla stessa linea di confine, ogni tanto, accade che le mani si sfiorino. Ci vedono, ma ancora non ci riconoscono per ciò che siamo: totalmente incapaci di recitare la nostra più o meno visibile o invisibile, onorevole o disonorevole parte comune di diversità. L’essere diversi, mi domando, da chi?
Amicizia Antonio Ligabue Diversità