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Otto montagne

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Alessandro Borghi e Luca Marinelli in "Le otto montagne" - David di Donatello 2023 - Miglior Film

Prendi due tipi che abbiamo appena lasciato nei panni e nel dialetto sporco dei coatti romani, Luca Marinelli ed Alessandro Borghi, eroi negativi di un film tossico ambientato nel Bronx di Ostia (Non essere cattivo) e trasferiscili sulle nevi del Piemonte, per raccontare una storia lenta, che puzza di vacche e di formaggio, di fogheracci e di montagne autentiche che non sono quelle del cinepanettone di turno. Bella sfida, bisogna riconoscerlo. Ma vinta e premiata con un meritato David di Donatello 2023.
Uno, Bruno, è il montanaro vero, nato e cresciuto in malga, puro e duro che più non si può ma senza perdere né la tenerezza né la testardaggine. L’altro, Pietro, è di Torino, dunque montanaro per volontà paterna e poi per passione. Bruno la sua strada ce l’ha tracciata fin da bambino, Pietro no, la dovrà cercare per il mondo, su altre montagne. Due amici come fratelli, il carpentiere-casaro stanziale irriducibile, e il giramondo ingenuo e inquieto, arrivato su su fino in Nepal per scrivere un libro e raccontare l’Himalaya con gli occhi innamorati dello scrittore che è diventato. Ma che finisce per ritornare sempre nella casa di pietra e legno che ha costruito con Bruno, amico e secondo padre.
Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, giovani registi belgi, hanno girato un film inaspettato, fatto di immagini vere come la storia che racconta, senza cartoline e senza cellulari, ispirato dal romanzo di Paolo Cognetti. Un film su due vite semplici e difficili come tutte le vite, ma legate come nessun’altra da una corda ruvida e indistruttibile, di quelle che forse solo in montagna si trovano ancora. Vite di poche parole e di sentimenti forti, di amicizia più che d’amore, vissute nel ricordo lancinante dei padri perduti.
Bravissimi i due ragazzi, bravissimo Filippo Timi, padre ingegnere amorevole ma ruvido, roso dall’angoscia che lo consuma dentro.

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