Caterina Saviane

Caterina Saviane e la poesia dello scardinamento

Tachicardia

 

… Se non nell’allegria di un’assonanza
un verso – ti porgevo
come una malattia
come l’amore stesso – un giorno
dietro giorno e notti
e assieme sempre – stare morendo

 

l’unica morte – intendo – quella dei vivi:
(memoria mia,
raccontami solo la bellezza
poiché fra tutti i dolori
non c’è simile solitudine al mondo
dei gesti inattivi
del viso – stretto
come una bocca priva di bacio
delle frasi volgari
udite apposta per far ridere)

 

Ma la tua curiosità senza erre moscia
oltre la povertà – l’immensa
ricchezza di essere macigno:
dove trovavi – bimba mia
azzurra e bellissima
tanta tracotanza di vivere
la tenerezza di tenermi ancora
tanto ottimismo? –

 

(… Se non nell’allegria d’un’assonanza
un verso – ti porgevo
come una malattia
come l’amore il sesso – notte
dietro notte e giorni
ci dicevamo strette: “Stiamo morendo!”)

 

Una poesia di Caterina Saviane letta da Anna Toscano

 

 

Caterina Saviane usa la parola come uno strumento di costruzione o di distruzione, è a volte una parola trapano, a volte una parola lima, altre volte una parola piuma. La parola è il suo significato, il suo suono, è il verso che va a comporre e con esso scardina, inventa, infrange, raccoglie, abbraccia. Una parola che ha la potenza e l’energia del fare, e se la parola non basta Saviane la crea, la manipola, ci gioca tra nonsense e pensiero, fino a rendere il suo sdegno, la sua rabbia e la sua grande fragilità. Compone versi classicheggianti con un lessico ricercato e poesie in versi quasi a sdoganare la narrazione in prosa, a volte sono brevi componimenti quasi urlati, talvolta sincopati: “Nicchia nicchia nicchia / poesia elemosina che annìda /quante parole nicchia, in cui rannicchia /come bimbo orfano riottòso /madre adunca oppure /[…]. Usa la parola per mettere in poesia quella diversità che non è solo generazionale o anagrafica, ma una diversità che è ribellione perdurante contro “i gesti inattivi”. A sedici anni scrive “È inutile vincere il referendum sul divorzio quando poi si perde nella vita, è inutile essere favorevoli all’aborto, se in casa non si lavano i piatti. Svegliatevi ingordi pupazzi, invece di vivere sul letame di migliaia di anni di storia… Lavate i piatti coglioni di rivoluzionari. Frilovatevi le palle colfrilav…”. Alcune sue poesie sono dichiarazioni d’amore per un’amante bizzarra “Donna Poesia riposi sul cuscino”, ma la morte serpeggia sempre più presente, lo “stare morendo” fa capolino fino a vincere su di lei. Resta viva la sua poesia.

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Caterina Saviane, Appénna ammattìta, Roma, nottetempo, 2015

 

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