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Il difficile voto per il Senato

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Eccoci alla parte più difficile: il voto per il Senato. Difficile perché il diverso criterio di assegnazione del premio (su base nazionale per la Camera, su base regionale per il Senato) e il diverso livello di sbarramento (4% alla Camera 8% al Senato) rendono difformi gli effetti del voto.

E’ immaginabile che la grande maggioranza degli elettori, una volta deciso per chi votare, metterà automaticamente la croce sullo stesso simbolo in entrambe le schede. In tal modo, però (se ne renda conto o meno) gli effetti politici dei suoi due voti, formalmente identici, possono divergere; anche di molto. E’ uno dei vizi – e non il meno grave – della pessima legge elettorale che, dopo tante promesse di cambiamento, ci tocca ancora subire.
Se replicherai per il Senato il voto che hai dato alla Camera ancorché la lista che hai scelto, in quella regione, non abbia alcuna possibilità di superare l’8%, il tuo voto andrà perso; equivarrà ad una astensione. Se sei interessato non solo al risultato della tua lista preferita ma anche all’esito elettorale complessivo dovrai allora chiederti se non sia opportuno sostenere per il Senato – fra le due coalizioni maggiori – quella che senti più vicina, o meno lontana. La domanda sarà tanto più incalzante nelle regioni “incerte”, nelle quali la gara può essere decisa per un pugno di voti. Nelle regioni maggiori la posta in gioco sono 4 senatori in più o in meno; in Lombardia addirittura 7.
Puoi anche ignorare questa domanda; ma non puoi eludere gli effetti di quel che farai. Decidere in un modo o nell’altro inciderà sull’attribuzione del premio al Senato nella tua regione, quindi sulla composizione del nuovo Senato. Se confermerai il voto della Camera pur essendo inverosimile che la lista a cui lo dai superi l’8%, vuol dire che non ti interessa più che tanto se a prevalere sia l’una o l’altra delle coalizioni maggiori. Se non sei indifferente a questo secondo problema, darai il voto alla coalizione che consideri “meno peggio” anche se non ne fa parte la tua lista preferita.
Il voto per il Senato obbliga a riflettere anche elettori che votano per le coalizioni maggiori. La legge fissa infatti – regione per regione – il numero dei senatori che vanno al primo e che vanno agli altri. Chi prevale in una regione non può prendere più di tanti senatori; e se i concorrenti sono più di due, i restanti non li prende tutti il secondo; vanno divisi fra tutti quelli che superano lo sbarramento. Per conquistare tutti i senatori spettanti al vincitore, basta un voto in più del secondo; tutti i voti ulteriori sono superflui ai fini dell’assegnazione del premio. Ognuno di quei voti potrebbe, però, aiutare un altro a superare lo sbarramento.
Facciamo un esempio. Nel 2008 i 23 senatori spettanti al primo in Emilia e Toscana andarono alla coalizione di sinistra e i restanti 16 a quella di destra; il distacco fu di 700.000 voti. Si può presumere che questa volta non sarà inferiore, visto che allora Berlusconi, nel totale nazionale, superò di quasi dieci punti Veltroni. Se una parte di quei 700.000 voti “non necessari” alla vittoria della sinistra al Senato in quelle regioni contribuisse a far conquistare un senatore a una lista diversa da quella della coalizione Pdl-Lega, sarebbe Berlusconi a trovarsene uno in meno a Palazzo Madama; e sarebbe di vantaggio anche per Bersani.
Identico ragionamento vale, ovviamente, per regioni nelle quali sia largamente prevalente la destra. Il meccanismo elettorale stesso può dunque indurti a sostenere al Senato una lista diversa da quella che hai votato alla Camera; se non altro per tentare di indebolire l’avversario maggiore che contrasta la tua coalizione preferita.
Questa volta la spiegazione è stata un po’ lunga; ma l’argomento è obiettivamente complicato. Noi abbiamo cercato di essere più chiari possibile; affinché voi possiate fare anche per il Senato l’uso più produttivo del vostro voto, secondo le circostanze della vostra regione e in funzione dell’obiettivo che vi proponete.

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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