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Ogni voto è una testa

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Nelle note precedenti mi sono occupato del voto come espressione del singolo cittadino, che si chiede cosa farne. Con questa nota conclusiva voglio invece parlare del voto come risultato delle elezioni; del modo, cioè, come ne parleremo da lunedì pomeriggio, quando sapremo come hanno votato gli italiani. Non uno per uno, ma tutti insieme. Mi permetto di dare un consiglio, il primo di queste note. Non fermatevi alle percentuali: sono significative per un giudizio sintetico e sbrigativo, molto meno se siete interessati a capire cosa accade nel Paese in cui vivete. A tal fine, contano i numeri assoluti perché ogni voto è una testa; e ogni testa si porta dietro tutto il resto. I numeri ti dicono quante persone hanno fatto quella scelta, quanti hanno confermato il loro orientamento, quanti lo hanno cambiato. E quando vai al lavoro, incontri gli amici, chiacchieri al bar o sull’autobus hai a che fare con persone, non con percentuali. Il confronto d’obbligo è con le ultime elezioni politiche, quelle di cinque anni fa. 1. Gli elettori residenti in Italia chiamati a votare per la Camera dei Deputati sono stati, allora, 47 milioni 4 mila 814. Oggi il numero è pressoché invariato: sono appena 6 mila 485 in più. I votanti furono 37 milioni 874mila 569; e i voti validi (escluse, cioè le schede bianche e nulle) 36 milioni 452mila 286. Gli italiani che domenica e lunedì andranno alle urne, che esprimeranno un voto valido, saranno più o meno? Non è affatto indifferente; anche perché su questa base si calcolano le percentuali delle singole liste. 2. Nel 2008 la coalizione di Berlusconi – vincente – raccolse 17milioni 64mila 90 voti (46,8%); 13milioni 290mila 56 del Pdl (37,4%) e 3milioni 24mila 547 della Lega (8,3%) il resto di liste minori. 3. La coalizione di Veltroni ebbe 13 milioni 686mila 501 voti (37,5%) divisi fra Pd (12milioni 92mila 969 pari al 33,2%) e Idv (1milione 593mila 532 pari al 4,4%). 4. L’Udc, fuori dalle coalizioni, raccolse il 5,6%: 2milioni 50mila 309 voti. I restanti 3milioni e 600mila voti andarono dispersi in liste che non superarono lo sbarramento; la più consistente, “Sinistra arcobaleno”, superò il milione e centomila voti. La coalizione di Berlusconi è rimasta più o meno identica; l’alleato del Pd non è più l’Idv ma Sel; l’Udc anziché sola è alleata con Monti. Non sono grandi differenze. Il fatto nuovo sono le liste che nel 2008 non c’erano: Grillo, Monti, Giannino e (almeno in parte) Ingroia. Non si sa se tutte supereranno lo sbarramento del 4%, e le liste sono fra loro diversissime; ma tutti i voti che prenderanno saranno di persone che avranno cambiato voto rispetto all’ultima volta. Allora le coalizioni di Berlusconi e Veltroni assommarono l’84,3% dei voti validi; con Casini si arrivò all’89,9%. Queste quote potrebbero (secondo gran parte delle previsioni dovrebbero) subire un consistente ridimensionamento. Vedremo lunedì. Ma nulla come i numeri assoluti consente di misurare con precisione, di percepire la concretezza, direi la “fisicità” dei cambiamenti, degli spostamenti che queste elezioni potranno rivelare. Un conto è pensare a dati astratti come 5, 10 o 20%; altro è immaginare due, tre, cinque milioni di nostri concittadini che ci fanno sapere di aver cambiato posizioni e aspettative. E’ bene averlo molto chiaro; perché, poi, viviamo tutti qui, in Italia; e avremo problemi comuni da affrontare, molto seri. Vai alla presentazione

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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