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La peste nella mente

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Hieronymus-Bosch-- Il giardino-delle delizie (particolare)

Gli untori di una volta erano persone innocenti e indifese, spesso ebrei, che venivano ingiustamente accusati di diffondere surrettiziamente la peste, e venivano ammazzati – oltre che depredati dei loro beni. Sì, la ricordate la storia della Colonna Infame e del povero Giangiacomo Mora?
Beh. Invece gli untori di adesso ungono davvero. Senza magiche pozioni diffondono il virus sfiatandosi addosso mentre urlano che il Covid non esiste, che è il vaccino a uccidere, che vogliono la “libertà”. Uno strano rovesciamento di posizioni.
Eppure c’è qualcosa che unisce i cupi persecutori degli “untori” secenteschi ai cupi urlatori infetti di oggi. Una paura che li fa delirare.
Alla radice di tanto rovesciamento c’è sempre lo stesso fenomeno: il rifiuto di una verità insopportabile. Inguardabile.
Nel bisogno di dare ordine al caos, come bambini, cercano di prestare un volto al mostro che abita sotto il loro letto, un Tizio o un Caio o un Sempronio su cui riversare l’accusa. Si figurano il grande complotto. Il solito grande complotto contro di loro. Magari orditi da potenti ebrei. Perché il sonno della ragione genera mostri. Sempre simili fra loro. Spuntano dal buio delle anime meccanismi mentali profondissimi, ancestrali, possenti, che le difendono dalla realtà negandola.
Il terrore blocca la capacità di collegare, relazionare, selezionare le idee, dare proporzioni agli eventi. Al posto dei nemici occulti che ungono le porte delle case per spargere la peste, ora vengono figurati nemici occulti, che inventano una malattia inesistente per prendere il potere.
E i seguaci corrono per le piazze senza mascherine, gridandosi slogan fra loro. Untori veri. Covid sorride e ringrazia.

 

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GIOVANNA NUVOLETTI

Sono nata nel 1942, a Milano. In gioventù ho fatto foto per il Mondo e L’Espresso, che allora erano grandi, in bianco e nero, e attenti alla qualità delle immagini che pubblicavano. Facevo reportage, cercavo immagini serie, impegnate. Mi piaceva, ma i miei tre figli erano piccoli e potevo lavorare poco. Imparavo. Più avanti, quando i ragazzi sono stati più grandi, ho fotografato per vivere. Non ero felice di lavorare in pubblicità e beauty, dove producevo immagini commerciali, senza creatività; ma me la sono cavata. Ogni tanto, per me stessa e pochi clienti speciali, scattavo qualche foto che valeva la pena. Alla fine degli anni ’80 ho cambiato mestiere e sono diventata giornalista. Scrivevo di costume, società e divulgazione scientifica, per diversi periodici. Mi divertivo, mi impegnavo e guadagnavo bene. Ho anche fondato con soci un posto dove si faceva cultura, si beveva bene e si mangiava semplice: il circolo Pietrasanta, a Milano. Poi, credo fosse il 1999, mi è venuta una “piccolissima invalidità” di cui non ho voglia di parlare. Sono rimasta chiusa in casa per quattro/cinque anni, leggendo due libri al giorno. Nel 2005, mi sono ributtata nella vita come potevo: ho trovato un genio adorabile che mi ha insegnato a usare internet. Due giovani amici mi hanno costretta a iscrivermi a FB. Ho pubblicato due romanzi con Fazi, "Dove i gamberi d’acqua dolce non nuotano più" nel 2007 e "L’era del cinghiale rosso" nel 2008, e un ebook con RCS, "Piccolo Manuale di Misoginia" nel 2014. Nel 2011 ho fondato la Rivista che state leggendo, dove dirigo la parte artistico letteraria e dove, finalmente, unisco scrittura e fotografia, nel modo che piace a me.

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