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Lettera al nuovo Sindaco

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Luglio 1963 - John e Jacqueline Kennedy in visita a Roma

Caro Sindaco,
Questo articolo non parla di politica. Finirei per perdermi in spiegazioni pedanti sul perché e percome ho preferito votare questo o quel candidato al ruolo di nuovo primo cittadino di Roma, o addirittura non votarne nessuno.
Ieri, in via Nazionale altezza Palazzo delle Esposizioni, ho incrociato il corteo (non meno di quaranta macchine, a occhio, tra polizia, minacciosi hummer neri, berline non meno impenetrabili dai vetri oscurati, mezzi paramilitari lampeggianti e, finalmente, la lunga limousine ornata di tricolore e stars and stripes flag) che accompagnava il nostro Mario Draghi e il premier statunitense Joe Biden all’EUR, per discutere coi rappresentanti di tutto il mondo o quasi di problematiche cruciali per il pianeta intero.
Da semplice cittadino ho provato emozione nell’assistere, del tutto casualmente, a quel transito storico. Ho pensato al racconto di mio fratello, che nello stesso identico punto aveva assistito, era il luglio del 1963, al passaggio dell’imponente macchina scoperta dalla quale John Kennedy salutava sorridendo, insieme alla sua Jacqueline, una folla adorante di romani.
Tutto era più bello, più smagliante, più vero di oggi, o almeno così sembrava. Tre o quattro colpi di fucile, appena cinque mesi dopo, avrebbero trasformato a Dallas la stessa scena in una immane tragedia e il mondo in un posto sempre più torvo e blindato.
Cosa c’entra questo con lei, nuovo sindaco di Roma? Poco o niente, forse.
Ma la sensazione, o meglio, la suggestione che ho avuto intercettando ieri il corteo presidenziale, è che l’unica cosa rimasta immutata, cristallizzata nel tempo, fosse Roma, la mia città. Forse perché, nel momento esatto dell’incontro di via Nazionale, in quell’istante sospeso, io mi sono immaginato parte del gruppo dei potenti, gli eletti che stavano frettolosamente ammirando dai finestrini solo ed esclusivamente la Grande Bellezza. Uno spettacolo unico.
Niente auto in seconda o terza fila, niente alberi cadenti, niente metropolitana a singhiozzo, invasa dall’acqua e dai rifiuti, tracimanti ovunque. Niente autobus lenti e scoppiettanti, niente strade dissestate, niente fogne asfittiche e recalcitranti, niente monopattini e ciclisti disseminati ovunque meno che su piste ciclabili surreali e malfatte. Niente segnaletica affidabile, niente organizzazione razionale della mobilità, niente illuminazione degna di una città moderna.
Ecco la realtà che lei, nuovo sindaco, è chiamato ad affrontare. Spiegare ai potenti ma soprattutto a se stesso che Roma è patrimonio dell’umanità intera, e non va trattata come un giocattolo irrimediabilmente rotto, da considerare con sufficienza e calcolo politico da quattro soldi. Capire che l’incanto di questa città è l’eternità, propria dell’intima essenza della sua natura, che la rende al contempo decadente e indifferente alla decadenza. Che è possibile salvare la sua magnifica, immutabile diversità in un solo modo: amandola davvero.

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