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MARI CHRISTMAS 2 – Meglio orfani che maleducati

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Illustrazione Stefano Navarrini ©

Da quella volta il rapporto con i miei genitori migliorò. Io, comunque, ogni tanto per precauzione glielo dicevo che gli volevo bene! Dicevo: «Siete le persone che amo di più al mondo!». E loro sorridevano felici. Le vacanze di Natale trascorrevano serene tra i miei giochi, i miei piccoli doveri, i miei sogni di bambina. Il mio sogno principale era quello di essere orfana.
Un momento, non volevo che i miei genitori morissero. Volevo essere orfana di mio. Non diventarlo: esserlo. Essere nata così! Oh, insomma, io volevo essere orfana perché alla tv dei ragazzi tutti i bambini a cui succedevano le cose più fantastiche erano orfani!
Sì, è vero, c’era sempre quel primo piano del bambino con la lacrima che scende rigando la guancia. Ma in fondo si trattava solo di dieci secondi di inquadratura contro cinquanta minuti di telefilm. Cinquanta minuti d’avventure, inseguimenti, fughe, pirati, isole del tesoro. E non ce n’era uno, di questi bambini, che avesse i genitori. Per una questione morale, credo. Perché se li avessero avuti non ce li avrebbero fatti andare in quei posti là, allora per andarci lo stesso avrebbero dovuto disubbidire, e questo sarebbe stato diseducativo nei confronti di noi piccoli telespettatori. Così gli sceneggiatori, per non essere immorali, i genitori li ammazzavano prima: meglio orfani che maleducati!
Comunque non è che io confondessi i piani della realtà e così, per essere libera di fantasticare una vita d’avventure, decisi di cercare un modello televisivo in cui immedesimarmi. Ora, non è che nei telefilm le bambine brillassero per spirito d’iniziativa. Anzi, diciamolo pure, erano cretine. L’unico modello al quale una bambina d’intelligenza ─ non dico tanto, dico media ─ poteva ispirarsi, era la Pippi Calzelunghe. Ma a parte che mi era un po’ antipatica perché con quei capelli rossi mi ricordava la De Santis Michela del primo banco che li portava lunghi sulle spalle e tutti a dire «che bei capelli, che bei capelli». A lei, invece a me «pettinati gli spinaci!». A parte questo, la Pippi non andava bene come modello d’ispirazione perché lei un padre ce l’aveva. Per mare o chissà dove ma ce l’aveva. E i miei genitori invece hanno sempre fatto tutto insieme quindi non mi pareva bello far morire uno e l’altro no.
Non avendo scelta mi identificai in un personaggio maschile di mia invenzione: Gian. Lo chiamai così in onore di Rita Pavone che anche lei aveva avuto il mio stesso problema e l’aveva risolto facendo Gianburrasca. Inoltre ritenni consono chiamarlo Gian, essendo segretamente innamorata di Ric.
«Ed ecco il famoso piccolo Gian che salva la città. Il piccolo Gian a cavallo di una tigre della malesia, usando il super-udito, sente la risata del perfido Joker. Per nulla intimorito, il piccolo Gian, che tra l’altro è stato appena nominato sceriffo, ingoia una nocciolina americana, sale sull’Interprise e vola verso la prossima avventura, mentre nel cielo riecheggia il suo inconfondibile grido di battaglia: Iabadabadabadu
Beh, insomma, non disponendo di un personaggio preciso me lo cucivo addosso pescando qua e là. A proposito, ho appena realizzato la prima manica della divisa mimetica per Gian, tagliando a piccoli rombi tutto il corredo di vestiti della bambola Adelina, pellicciotto compreso. Ho fatto come Arlecchino che per farsi un costume ha usato i pezzi di altri vestiti. È una storia che mi hanno raccontato mamma e papà: nell’economia della ritrovata serenità in famiglia, cosa può esserci di meglio che mettere subito in pratica un loro insegnamento?

Mari Christmas, parte prima
Mari Christmas, parte terza
Mari Christmas, parte quarta
Mari Christmas, parte quinta
Mari Christmas, parte sesta
Mari Christmas, parte ultima 

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