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Non sono pacifista Odio i Masters of war

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Bob Dylan

Erano quasi trent’anni che non cantava la versione acustica di Masters of war (qui), ma nel 1994 a Hiroshima dovette sembrargli il momento giusto per suonarla.

Voi caricate le armi
che altri dovranno sparare
e poi vi sedete e guardate
mentre il conto dei morti sale
voi vi nascondete nei vostri palazzi
mentre il sangue dei giovani
scorre dai loro corpi
e viene sepolto nel fango

Forse uno dei testi più drammatici scritto da Dylan, che arriva ad augurare la morte ai padroni della guerra.

E spero che moriate
e che la vostra morte giunga presto
seguirò la vostra bara
in un pallido pomeriggio
e guarderò mentre
vi calano giù nella fossa
e starò sulla vostra tomba
finché non sarò sicuro che siate morti

Ma Dylan, si sa, è Dylan, e le sorprese non mancano mai.
In molti suoi concerti, soprattutto quelli con formazioni “elettriche”, la canzone cominciò ad essere arrangiata in modo che non si comprendessero il testo e la melodia. Le parole erano pronunciate in modo incomprensibile, la melodia irriconoscibile.
Il perché di questi arrangiamenti e del modo di stravolgere questa e altre canzoni è oggetto di infinite discussioni.
Ma Dylan, come si sa, non smette mai di stupire. Avevo sempre pensato che fosse anche l’autore della musica e non solo del testo, fino a quando non scoprii che gli avvocati di Dylan pagarono alla cantante Jean Ritchie la somma di 5.000 dollari a titolo di risarcimento definitivo. Il motivo risiedeva nel fatto che Dylan aveva adattato il suo testo alla melodia della canzone tradizionale Nottamun Town, da generazioni nel repertorio della famiglia Ritchie.
Avevo poi sempre ritenuto che il testo, nelle intenzioni dell’autore, fosse un proclama contro le guerre.
Evidentemente mi sbagliavo.
In un’intervista a Robert Hilburn (qui), del Los Angeles Times, pubblicata il 16 settembre 2001 Dylan dichiarò:
«Prendiamo Masters of war. Tutte le volte che la canto c’è qualcuno che scrive che si tratta di una canzone contro la guerra. Ma non c’è nessun sentimento contro la guerra in quella canzone.
Io non sono un pacifista. Credo di non esserlo mai stato.
Se presti attenzione alla canzone scopri che si tratta di quello che Eisenhower (qui) andava dicendo in merito ai rischi del complesso bellico-industriale nel nostro Paese. “Credo profondamente che sia diritto di tutti difendersi in tutti i modi necessari».
Qualcuno potrà obiettare che poco importa ciò che un autore pensa delle proprie composizioni, perché le canzoni prendono le distanze da chi le ha scritte e possono essere interpretate da ciascuno a suo modo. Però, queste dichiarazioni ebbero e hanno il loro peso.
Sta di fatto che Masters of war, anche se composta durante la guerra del Vietnam, ci parla ancora del presente. Gli orrori della guerra in Ucraina, sia che ci si schieri con i “pacifisti”, sia con chi ritiene giusto l’invio delle armi per permettere la difesa contro l’invasore, sono sotto gli occhi di tutti e ci sconvolgono profondamente.

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ROBERTO CALVINO

Ha conseguito la laurea in lettere moderne, discutendo una tesi in storia della critica d’arte con Maria Luisa Dalai Emiliani. Ha collaborato con Roberto Leydi e Michele Straniero su temi riguardanti la cultura delle classi subalterne. E’ stato corrispondente dall’Italia per “La strada”, rivista pubblicata in Olanda. E’ stato docente di lettere nella scuola secondaria. Principali mostre a cui ha partecipato con lo pseudonimo di Felix Danton o con il proprio nome: Echi Urbani, Amarillo Art Gallery Reggio Emilia 2009; Immagina Arte. Reggio Emilia, 2009; San Quirico D’Orcia. Palazzo Chigi. Demone a ciascuno il suo sogno, 2010; Cortecce e Simmetrie. Sestante, Gallarate 2011; Carù. Parole suoni immagini. Riflettere. Sacrestia della chiesa monumentale di San Marco, Milano, 2012; Rive gauche/ droit en Anniviers, Festival dédié à la photographie d'auteur et de montagne. Grimentz, 2012; Da legno a segno " Spazio Ostini, Cuirone, 2014; 15 ème festival européen de la photo de nu, " Corps et texte ", Arles, 2015; Dalle parole alle immagini, dalle immagini alle parole, Gallarate, spazio Carù Museo Maga, 2017.

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