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Racconti

Eravamo tutte Marilyn Monroe

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Foto di Ernst Haas elaborata da Samantha Rossignoli

Agosto 1962. Ricordo il suono delle cicale, fuori, nella pineta.

Il giorno che Marilyn Monroe morì ero all’isola d’Elba, ospite, con un gruppo di altri adolescenti, di una famiglia ricca. Ricchissima. Industriali milanesi, neoproprietari di una villona su un cocuzzolo, circondata da una enorme tenuta che guardava il mare – dove il loro yacht galleggiava arrogante. Persone e lussi che ho dimenticato.
Invece la saletta della tv, pigiata di ragazzini e ragazzine, viziatelli e che si credevano vissutissimi, coi codini e i nasi all’insù, o coi primi peli di barba, la ricordo perfettamente. Alla notizia, siamo scoppiati a piangere, come i bambini che ancora eravamo. Volevamo bene a Marilyn, tutti, maschi e femmine senza differenza. Senza sapere perché. Forse noi ragazze con maggiore tenerezza. Era una immagine di femminilità gentile e offesa, di una profondità umana che intuivamo appena. Una sorella maggiore confusa, buffa e disperata: mai fu una rivale, né per le bionde né per le more, né per le bellissime, né per le carine, né per le brutte. Una sorella da proteggere dal dolore che le scavava dentro. Il principe e la ballerina: lei col vestito da sera stazzonato, il rimmel colato. Fragile amica. Non sapevamo nulla dei retroscena, delle sue follie per i bei fratelli Kennedy. L’avremmo di certo perdonata a priori.
La sentivamo presente dentro di noi, come il profumo delle donne che saremmo diventate, come il brivido dei pericoli che avremmo evitato, come il sogno che mai saremmo state, noi, brave ragazze della buona borghesia milanese, beneducate e privilegiate. Ma le nostre certezze si svelarono illusioni, e svanirono. Alcune di noi, le più belle, divennero sogni, e si persero. Destini si compirono in tragedia. Anche fra noi, quel giorno, si celavano piccole Marilyn sconosciute. E’ a loro che dedico questo ricordo.

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GIOVANNA NUVOLETTI

Sono nata nel 1942, a Milano. In gioventù ho fatto foto per il Mondo e L’Espresso, che allora erano grandi, in bianco e nero, e attenti alla qualità delle immagini che pubblicavano. Facevo reportage, cercavo immagini serie, impegnate. Mi piaceva, ma i miei tre figli erano piccoli e potevo lavorare poco. Imparavo. Più avanti, quando i ragazzi sono stati più grandi, ho fotografato per vivere. Non ero felice di lavorare in pubblicità e beauty, dove producevo immagini commerciali, senza creatività; ma me la sono cavata. Ogni tanto, per me stessa e pochi clienti speciali, scattavo qualche foto che valeva la pena. Alla fine degli anni ’80 ho cambiato mestiere e sono diventata giornalista. Scrivevo di costume, società e divulgazione scientifica, per diversi periodici. Mi divertivo, mi impegnavo e guadagnavo bene. Ho anche fondato con soci un posto dove si faceva cultura, si beveva bene e si mangiava semplice: il circolo Pietrasanta, a Milano. Poi, credo fosse il 1999, mi è venuta una “piccolissima invalidità” di cui non ho voglia di parlare. Sono rimasta chiusa in casa per quattro/cinque anni, leggendo due libri al giorno. Nel 2005, mi sono ributtata nella vita come potevo: ho trovato un genio adorabile che mi ha insegnato a usare internet. Due giovani amici mi hanno costretta a iscrivermi a FB. Ho pubblicato due romanzi con Fazi, "Dove i gamberi d’acqua dolce non nuotano più" nel 2007 e "L’era del cinghiale rosso" nel 2008, e un ebook con RCS, "Piccolo Manuale di Misoginia" nel 2014. Nel 2011 ho fondato la Rivista che state leggendo, dove dirigo la parte artistico letteraria e dove, finalmente, unisco scrittura e fotografia, nel modo che piace a me.

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