Avevo sentito parlare della signora sola nella casa sulla scogliera. Lo strapiombo sul mare era la distanza tra gli altri e lei. Un cancello inaccessibile era stato sprangato sulla sua vita. Mi sedetti a terra, lì davanti, in attesa; sentivo che sarebbe arrivata.
La notte era piena di stelle, e dormii davanti al cancello, fiduciosa. Un rumore mi svegliò, e la vidi, in penombra. La scorsi camminare proprio verso di me. Il suo corpo, sicuro.
«Vattene» mi disse
«Sono venuta apposta fin qui. Lasci almeno che la veda negli occhi»
Aprì il cancello, ritornando sui suoi passi. La seguii, ma avevo paura: i capelli sul viso, la bocca, tesissima e livida. Gli occhi spenti.
«Sei la prima persona che mi vede da anni», anche la voce era spenta.
Sentii il fascino della bruttezza, della grande bellezza che aveva perso il coraggio.
Allungai la mano verso la sua, ma la ritrasse, «Non venire più. Ora che mi hai vista tienti lontana da qui».
«Voglio tornare. Le porterò qualcosa… non c’è niente che le serva?»
«Ho tutto quel che mi serve, qui»
«Dei giornali?»
«La pagina dei necrologi. Portami la pagina dei necrologi, verrai ogni primo giovedì del mese e mi porterai le pagine con i necrologi»
«E perché?»
«Perché? Per preparare la mia morte».
La voce si andava sciogliendo.
«Facciamo che sia giovedì. Sarò sul cancello, verrai da sola con i necrologi del mese».
La lasciai sulla porta di casa e poi scesi i gradini e la stradina tra sassi e dirupi.
Passarono i giorni, il primo giovedì del mese si avvicinò. Mi chiesi se mi avrebbe ricevuta davvero. Salire lassù, sfida, iniziazione, tracotanza, non so cosa fosse, ma mi sentivo più donna. La trovai al cancello.
«Sei arrivata». I capelli erano puliti, l’ombra sul viso sparita. «Ti ho aspettata, ho contato le settimane. Hai portato i giornali?».
Si tuffò negli annunci mortuari e ne riemerse serena
«Eppure un giorno questa gente viveva e amava. Lo vedi a che serve l’amore?».
Rimasi in silenzio a guardarle il viso, dieci anni di meno in un mese. Mi parlò di sé, delle cose lontane e vicine, dell’amore e della delusione, «ho dovuto fuggire. E chi fugge non è mai felice»
«A me pare una scelta, non una fuga».
Era ora di andare. Il mese prossimo, ancora il primo giovedì, non avrebbe voluto sorprese.
Arrivai puntuale, il mese dopo, coi miei fogli di morte. Occhi pieni di luce, pelle sottile e bocca sensuale. La vecchia signora si era forse nascosta? E chi era la donna al cancello?
«Ti ho aspettata. Ho contato ogni giorno. Hai portato i giornali?».
Era lei, la vecchia signora che vive da sola là in alto. «Sto meglio. È vero, è stata una scelta la mia».
E mi parlò ancora, dei tempi passati, gli anni finiti. La voce ora apparteneva a una donna diversa, una dea risvegliata.
«È più bella», le dissi e arrossì.
Arrivò il terzo mese, io al cancello, più sicura di me.
«Ho contato i minuti. Son felice che ti sia ricordata di me. Hai portato i giornali?», i capelli di seta e negli occhi un mare. Vent’anni di meno, correva in salita, faticavo a restare al suo passo.
Ancora su quei necrologi e mi parlò del silenzio la notte là in alto, del rumore dei sogni e del mare, del colore al risveglio, del profumo dei fiori, di quello che aveva trovato, dell’attesa di me.
«Mi sveglio al mattino e penso che un giorno verrai e conto le ore. Avevo cinquant’anni ora ne ho trenta, non vedi?».
Arrivò un altro mese, e arrivò giovedì. La trovai sul cancello. Aveva vent’anni, io avevo vent’anni.
«Andiamo in città. Ho voglia di fare l’amore».
Scesi a valle con lei – un ragazzo al volante, avrà avuto vent’anni, sali, le disse. E lei pronta salì. Al ritorno era ancora più bella. Siamo andati a far l’amore, lo vedi laggiù oltre i campi, diceva, lo vedi laggiù? È bello fare l’amore. Mi puoi riportare?
Dopo un mese c’era una piccola bimba appoggiata al cancello. Dieci anni e mi accolse felice saltandomi al collo.
«Sei arrivata, ti ho tanto aspettata. Ho contato i minuti e i secondi, ti ho sognata di giorno e di notte. Giochiamo?».
Era lei la bimba dagli occhi di latte, la signora che vive da sola là in alto. Mi sentivo un cantuccio di bimba e giocavo con occhi un po’ ingenui e tanto bisogno di amore nel cuore.
«Devi andare», mi disse di colpo la sera.
«Vuoi venire con me? Ho una casa e ci vivo da sola. Puoi venire da me».
«Resto qua, non posso venire».
In città comprai giochi per lei, così tanti da salire a fatica. Raggiunsi il cancello, era aperto, la signora non c’era. Urlavo il suo nome. Silenzio. La casa era vuota, poi vidi le piccole scarpe, i vestiti, i giochi, il lettino, la culla . Profumo di parto, la madre dov’è? La piccola bimba era andata, ritornata alla madre o alle stelle. Mai nata?
Non ancora era nata la matura signora che vive da sola, là in alto. Ora io vivo qui, sola nella grande casa su questa scogliera e sto sempre vicina al cancello, aspettando che arrivi qualcuno a ridarmi la voglia di vivere ancora un mese, due, tre mesi d’attesa e d’amore.