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Ogni volta che ci diciamo addio

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Viviamo in luoghi diversi. Da venti anni c’incontriamo in una cittadina a metà strada. I primi tempi solo per fare l’amore. Eravamo giovani e forti; matti e disperati. Ora, soprattutto per parlare, per guardarci. Ci guardiamo e ridiamo, come bambini felici. Mi parli e io ti ascolto incantato. Dopo venti anni, invece, mi stupisco che tu ancora mi ascolti. I dubbi probabilmente li tieni per te. Forse li conservi per il viaggio di ritorno. Pure mi stupisco che, a metà strada dalle nostre vite, ci sia un luogo dove siamo dei perfetti sconosciuti. Non solo per gli altri, ma anche per noi stessi. Ogni volta dobbiamo ricominciare daccapo la celebrazione del mistero doloroso della conoscenza e, dopo neanche un giorno – a volte due – della separazione. Alla stazione, su due binari diversi, uno di fronte all’altra, finalmente ci torna la memoria. Ci ricordiamo di noi. Hai preso il telefono? Ti urlo. Tu ridi e annuisci. Ti mando un bacio. Tu ridi ancora e fai un gesto con la mano, come per dire smettila. Ma già so che ricambierai. Infatti, porti la mano alle labbra. In quel momento arriva il treno. Ti cerco guardando nei finestrini. C’è tanto sole. Le tendine sono abbassate. Ce n’è una che si alza. Sei tu. Che gioia rivederti. Per un attimo solo perché ora ad arrivare è il mio treno. Ti cerco ancora mentre il treno si muove. Mi sembra di vederti. Se non sei tu, sarai tu, comunque e dovunque un treno partirà: questo è il mistero doloroso. Ogni volta che ci diciamo addio. “Everytime we say goodbye, I die a little, Everytime we say goodbye, I wonder why a little, Why the gods above me, who must be in the know Think so little of me, they allow you to go”.

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