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Come usare il voto per la Camera

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Cominciamo di qui perché è il punto più semplice; anche se anch’esso richiede qualche chiarimento. Secondo la legge, la lista (partito o coalizione) che prende un voto più di qualunque altra nell’insieme del territorio nazionale ha la maggioranza assoluta (340 su 630) dei deputati. La composizione del Senato può essere difforme da quella della Camera; non solo perché il corpo elettorale è diverso (per il Senato non votano sette classi di età, dai 18 ai 25 anni, che votano invece per la Camera) o perché una parte degli elettori può decidere di votare diversamente per le due assemblee. La composizione del Senato può essere, anzi è sicuramente diversa da quella della Camera innanzitutto perché la legge elettorale in vigore stabilisce due diversi criteri di attribuzione del premio al primo arrivato. Per la Camera il premio è su base nazionale; per il Senato i premi sono su base regionale (è la Costituzione a stabilire che il Senato è eletto “su base regionale”). La differenza si annullerebbe se chi arriva primo nel calcolo nazionale per la Camera vincesse anche in tutte le regioni per il Senato. Date le diversità nei comportamenti elettorali delle diverse regioni italiane, questa coincidenza è praticamente impossibile.
Non è dunque detto che chi dispone della maggioranza alla Camera sia padrone del Parlamento e possa dunque governare. Tuttavia è impossibile che si formi una maggioranza per governare con l’esclusione dei 340 deputati di chi ha vinto per la Camera. La decisione di come usare il voto per la Camera dipende dalla importanza che viene attribuita a questo dato di fatto; se lo si considera essenziale o meno.
I motivi per cui si considera essenziale la conquista della maggioranza alla Camera possono essere diversi. C’è chi pensa che disporne sia decisivo per formare e dirigere un governo; e chi, invece, è più sensibile al fatto che, in tal modo, si rende impossibile governare all’avversario. La differenza è evidente; ma ambedue le motivazioni sono dirimenti e decisive nella scelta del voto.
Chi pensa così, deciderà di dare il suo voto a una delle due coalizioni più accreditate a tagliare per prima il traguardo: quella di Bersani e quella di Berlusconi. Nessuno degli altri sembra in condizione di competere a questo fine; e non lo dichiara neppure. Può esserci chi lo pensa possibile per il Movimento 5 Stelle e gli da dunque il voto con questa intenzione e con questa speranza. Ma il motivo prevalente che indurrà a votare per il movimento patrocinato da Grillo è un altro: rifiutare tutti i protagonisti del sistema politico vigente e in particolare i maggiori in quanto dannosi per gli italiani e per l’Italia.
Se non dannosi, certamente inadatti o quanto meno insufficienti a governare l’Italia, sono d’altro canto giudicati i due competitori maggiori da tutti coloro che daranno il loro voto per la Camera a una qualunque della altre liste (Monti, Ingroia, Giannino).
Queste liste, fra loro evidentemente diversissime, non si mostrano indifferenti al tipo di maggioranza e di governo che usciranno dalle elezioni (come fa il M5S che accomuna tutti in un giudizio liquidatorio). Mettono, però, con forza l’accento sulle inadeguatezze delle due coalizioni maggiori (per motivi anch’essi diversissimi) e chiedono agli elettori un voto per punirle e per correggerle.
Dunque, se sei preoccupato/a soprattutto di indicare un perno per il governo immediato del Paese, se pensi che a questo fine sia sufficientemente affidabile una delle due coalizioni maggiori in competizione, o vuoi garantirti assolutamente che una delle due sia esclusa dal governo darai il tuo voto per la Camera a quella fra le due che preferisci anche solo in quanto si oppone alla parte che tu vuoi assolutamente contrastare.
Se, invece, pensi che sia più importante esprimere con il voto stimoli più o meno radicali di cambiamento darai il tuo sostegno ad una delle altre liste in competizione; secondo le tue inclinazioni. Per il voto alla Camera questo è l’essenziale da dire.

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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