Marz’otto, ti chiamavamo, irridenti. E ti urlavamo contro: “hai r’8 marzo”, noi, le femministe toste, stanche di mimose, retorica e ipocrisia. Io scrivevo: “porge il mazzetto giallo il cliente alla prostituta, il marito alla cornuta, il fidanzato alla pestata, lo stupratore alla violentata…” Ero giovane e furibonda.
Furibonda lo sono ancora, adesso che sei tutto tavolate di ragazze in libera uscita, e spogliarelli di giovanotti prestanti e ben pagati.
Ma ora sono vecchia e nostalgica. Mi piacciono di nuovo le tue mimose morbide profumate e pelosette, segno d’inizio primavera e di speranza. Ho nostalgia dei nostri freschi cortei, tra festa e protesta, delle nostre prime prese di coscienza della grottesca ingiustizia nella quale eravamo nate, della nostra convinzione di poter cambiare il mondo, e renderlo migliore per tutte e per tutti.
Dai, qualcosa abbiamo ottenuto. Se le nostre figlie vogliono diventare astronaute e ne hanno le qualità possono. E ti ricordi quando non potevamo diventare giudici, perché le mestruazioni ci rendevano cretine? E quanto il delitto d’onore giustificava l’assassinio della moglie fedifraga? Beh, è durato fino al 1980 circa. Ricordi quando le donne adultere andavano in galera? E quando non c’era il divorzio? E per aborto clandestino le donne morivano a centinaia?
E qualcosa è rimasto. Tanto robusta misoginia che invade le menti di destra e sinistra, di uomini e donne, di etero e non. Tanto bel disprezzo per le donne che invade il linguaggio e la cultura, che rende gli insulti “battute di spirito” – che viene sentito come normale, anzi NATURALE.
E quindi ti abbraccio vecchio 8. Ho ancora bisogno di te. Vieni a darmi una mano, ancora, e poi ancora, per me, per figlia e nipoti, per le ragazze di oggi che non sanno, per donne di tutto il mondo.
Non è vero che le mimose puzzano.