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SACRIFICARE LE FESTE

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Il periodo fra Natale e Capodanno mi è sacro perché contiene l’anniversario del suicidio di mia madre. Devo esorcizzarne l’abisso, la notte più oscura della vita. Quindi, benché sia quasi atea, ogni anno decoro l’abete con angioletti innocenti e affettuosi e mi costruisco un consolatorio presepe, con lucine gialle nelle case, il laghetto di specchio che le riflette e alte montagne innevate sullo sfondo. Non avendone avuta una nella mia infanzia, nella vita seguente mi sono creata una VERA famiglia – a tavola possiamo ritrovarci tra 14 e 20, quasi tutti miei discendenti diretti, piume delle mie piume. Al pranzo di Natale servo i rituali tortellini nel mio superbrodo, il rituale cappone ripieno, i milanesissimi spinaci ripassati con uvetta e pinoli e il panettone, ma lo compro basso e senza i canditi che non piacciono a nessuno. Quando siamo insieme, e li guardo, un po’ piango e un po’ rido. I regali sono un casino: priva di intuizioni psicologiche, non ci azzecco mai, tento di riparare con deliziosi assegni ben firmati o soldi spicci – infilati in buste stupidissime decorate e infiocchettate, ricoperte dagli autoadesivi più sberluccicanti. Nei giorni più brevi dell’anno mi butto nelle luci più calde, nei profumi di pino, cerco invano di accendere il fuoco nel camino, esco in terrazza a impetrare pietà alle stelle. A Capodanno, un tempo, la mia resistenza crollava. E allo scoccare della mezzanotte scappavo in gabinetto a singhiozzare. Ora va meglio. Ho amici carissimi, ci si vede in pochissimi, con tenerezza e pazienza. Ora andrebbe meglio, sì, ma quest’anno Covid mi toglierà ogni difesa. Vedrò la sete inesausta che è dentro me. Ho 78 anni, categoria a rischio, e quindi continuerò a abolire gli incontri con i miei cari. Come tanti, come forse tutti, sacrificherò le mie feste al dio Virus. E sarò triste, come tutti. Mi accontenterò di un NAD, Natale a Distanza, uno Smart Christmas grazie a Zoom o Skype, oppure organizzerò un webinar, con sorprese e dolcetti virtuali, se il PC non mi mollerà. E i miei regali saranno tutti IBAN.

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GIOVANNA NUVOLETTI

Sono nata nel 1942, a Milano. In gioventù ho fatto foto per il Mondo e L’Espresso, che allora erano grandi, in bianco e nero, e attenti alla qualità delle immagini che pubblicavano. Facevo reportage, cercavo immagini serie, impegnate. Mi piaceva, ma i miei tre figli erano piccoli e potevo lavorare poco. Imparavo. Più avanti, quando i ragazzi sono stati più grandi, ho fotografato per vivere. Non ero felice di lavorare in pubblicità e beauty, dove producevo immagini commerciali, senza creatività; ma me la sono cavata. Ogni tanto, per me stessa e pochi clienti speciali, scattavo qualche foto che valeva la pena. Alla fine degli anni ’80 ho cambiato mestiere e sono diventata giornalista. Scrivevo di costume, società e divulgazione scientifica, per diversi periodici. Mi divertivo, mi impegnavo e guadagnavo bene. Ho anche fondato con soci un posto dove si faceva cultura, si beveva bene e si mangiava semplice: il circolo Pietrasanta, a Milano. Poi, credo fosse il 1999, mi è venuta una “piccolissima invalidità” di cui non ho voglia di parlare. Sono rimasta chiusa in casa per quattro/cinque anni, leggendo due libri al giorno. Nel 2005, mi sono ributtata nella vita come potevo: ho trovato un genio adorabile che mi ha insegnato a usare internet. Due giovani amici mi hanno costretta a iscrivermi a FB. Ho pubblicato due romanzi con Fazi, "Dove i gamberi d’acqua dolce non nuotano più" nel 2007 e "L’era del cinghiale rosso" nel 2008, e un ebook con RCS, "Piccolo Manuale di Misoginia" nel 2014. Nel 2011 ho fondato la Rivista che state leggendo, dove dirigo la parte artistico letteraria e dove, finalmente, unisco scrittura e fotografia, nel modo che piace a me.

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