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Cinema

Vittoria e Abdul

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Morta nel 1901, dopo un regno lunghissimo, la regina Vittoria ebbe negli ultimi anni di vita bizzarri comportamenti che agitarono e scandalizzarono la corte britannica. La relazione con il cameriere scozzese John Brown aveva già provocato scompiglio ma quando nel 1887 assunse due musulmani indiani come camerieri, la situazione precipitò.
Il regista inglese Stephen Frears – il film che lo rese famoso fu lo splendido My Beautiful Laundrette – prende la storia e la rivisita a suo modo. Vittoria, che veste a lutto dalla morte dell’amatissimo Albert, è una vecchia grassa e scorbutica – come lei stessa si definisce – detesta tutti e si presta stancamente agli obblighi reali. Ha nove figli che reputa sciocchi, vanesi e buoni solo a litigare tra di loro.
Regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda, dal 1876, divenne anche imperatrice d’India. A svegliarla dal torpore e dall’indifferenza fu proprio l’arrivo a corte di due indù, in particolare Abdul Karim, che lei a sorpresa nominò suo Munsci (maestro). Abdul, poco più che ventenne, prese a insegnarle l’indostano e la iniziò allo studio del Corano.
Frears racconta la storia tra la vecchia regina e il giovane indiano, il legame fortissimo che li unisce, la venerazione di lui e l’amore di lei e si sofferma sull’insofferenza crescente dei cortigiani e del primogenito Edoardo che cercano in tutti i modi di sabotare la singolare relazione tra i due. Lo fa, il regista inglese, con humour sottile e perverso, ridicolizzando il servilismo della corte ed esaltando il carattere ribelle e caustico di Vittoria. Ma al di là delle crinoline femminili e delle decorazioni maschili, Frears riesce nell’intento di raccontare una vicenda che potrebbe essere ambientata ai giorni nostri. Dell’odio e della discriminazione nei confronti di chi professa una religione diversa, di chi ha costumi diversi (la moglie e la suocera di Abdul indossano il chador), di chi ha umili origini come il giovane indù. E di come, tutte le macchinazioni dell’entourage per mettere in cattiva luce Abdul, vengano bollate dalla regina alla stregua di pregiudizi razziali.
Il film sarebbe risultato meno trascinante se a interpretare Vittoria non ci fosse stata una straordinaria Judi Dench (che nel 1997 aveva già incarnato la sovrana ai tempi dell’innamoramento per John Brown). Il premio Oscar 1988 per Shakespeare in love ci regala una superba interpretazione, gli occhi azzurri che da opachi si fanno brillanti, il cipiglio imbronciato che si trasforma in sorriso seducente, la figura curva poggiata al bastone che osa con l’amato Abdul persino un passo di danza. Dove Frears calca forse troppo la mano è nel disegnare la figura di Abdul. Il bravo attore di Bollywood Ali Fazal è quasi macchiettistico nella sua adorazione per la regina e nella sua vanagloria, avendole inizialmente mentito sulla sua posizione sociale. Non un poeta, bensì un umile scrivano nelle prigioni indiane. Anche se, mi è stato riferito da chi ben conosce quella terra, il sorriso che ti dona l’ultimo e più disgraziato dei suoi figli, illumina il mondo.

Vittoria e Abdul di Stephen Frears – Gran Bretagna 2017
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COSTANZA FIRRAO

Nata a Bari nel 1953, è sposata e ha due figli. Vive a Milano dal 1990. Collabora negli anni ’90 alle pagine culturali di alcuni quotidiani locali ed è stata traduttrice dal francese per riviste bilingue. Ha curato vari siti e blog. E' appassionata di cinema e letteratura.

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