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Addii che non sembrano addii

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Andrew Wyeth, Wind from the sea, 1947

Esistono addii che non sembrano addii. Ci si lascia con un «ci vediamo» o un «ci sentiamo», ma mutano gli sguardi, le parole, i pensieri, e anche se ci si vede o ci si sente non si è più quelli: cambiati, distinti, disuguali da noi.

Rimane un sottofondo d’affetto, qualcosa a memoria che prosegue da solo e un’oscura indulgenza a patire qualora il pensiero si soffermi.
Eppure, bene non si sa per chi si soffre, se altri eravamo; se quelli che fummo non lo siamo più per chi ci duole? Per l’altro, per noi stessi, per il ricordo su cui ogni tanto ci piace indugiare?
Forse per l’affetto sopravvissuto, storpio, che maledicendoci ci strappa alla nostra apparente serenità, ci costringe a guardarlo e ci fa colpevoli, piccoli, meschini. Noi che di tanto bene ne abbiamo fatto una scatolina da chiudere nel comò, un pensiero occasionale, un souvenir.

E poi nulla, perché la vita di ognuno deve procedere e non c’è posto, non c’è tempo, non c’è altro. Ci sono i giorni, gli impegni, le persone e nuove parole; idee, progetti, sogni, mentre quelli che siamo stati si muovono in una scena senza sonoro che scivola indietro, sempre più indietro.

Esistono addii che non sembrano addii. Ma lo sono.

 

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