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Editoriale

Il Cacciatore di Draghi

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il cacciatore di draghi

Copertina de "Il cacciatore di draghi" di J.R.R. Tolkien

Lo scontro fra Juncker e Renzi è stato duro ed esplicito e rivela una tensione non transitoria. Il lussemburghese è diventato Presidente della Commissione europea grazie al sostegno tedesco e nonostante l’ostilità di altre forze del suo stesso schieramento, l’inglese Cameron in primis. Nell’Eurotower di Francoforte raccontano di un Draghi continuamente sotto il tiro del governatore della Bundesbank Weidmann – che in tedesco significa “cacciatore” – e dei garzoni che lo accompagnano. Fervono le discussioni sul ruolo della Germania in Europa, si moltiplicano malumori e sospetti.

I tedeschi a me stanno simpatici; ma qualche cosa non va come dovrebbe. Per spiegarmi, racconto un episodio. Agli esordi della mia presidenza della Rai (2005/2006) fui impegnato per tre o quattro riunioni a discutere sui nuovi assetti dell’EBU (European Broadcasting Union, la unione europea dei servizi pubblici radiotelevisivi). Come in altre aggregazioni continentali i “padroni” erano i tedeschi, perché i più forti e influenti. Anche qui, però – ecco la cosa sgradevole – cercavano di affidare ad altri, minori e per ciò stesso meno “autorevoli” e meno ”responsabili”, le cariche più esposte. Con l’accordo di francesi e inglesi, nella riunione decisiva, per la presidenza proposero un belga, e un lussemburghese come segretario. Motivarono con il fatto che nessuno dei maggiori broadcaster era disponibile ad assumere incarichi. Presi la parola e dissi: “Se il problema è questo, ecco la candidatura della RAI “. Si candidò il tedesco (non ricordo più se della ARD o della ZDF, le due emittenti pubbliche della RFT) e – ovviamente – fu eletto. La vita di quell’associazione internazionale fu assai più trasparente e soddisfacente che se fosse andato il belga, con il tedesco a mani libere che poteva ottenere tutto quel che chiedeva, senza esporsi mai direttamente.

Forse, in alcuni incarichi europei particolarmente delicati e impegnativi attribuire la massima responsabilità a esponenti del Paese più grande e influente può essere un criterio funzionale e onesto; sarebbero meno facili manovre, giochi a rimpiattino, arroganze poco gradevoli. Quando Draghi fu nominato Presidente della BCE noi italiani ci sentimmo gratificati. Oggi, però, mi chiedo se anziché avere in quella funzione un nostro connazionale di indubbie capacità e grande prestigio, ma continuamente ostacolato e condizionato da Herr Weidmann, non sarebbe meglio per tutti che fosse quest’ultimo a sedere sulla poltrona più alta, e a rispondere in prima persona, a tutti gli utenti dell’Euro, di quel che fa o non fa. Se non altro non farebbe più il “cane da guardia”.

 

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CLAUDIO PETRUCCIOLI

Nella vita ho fatto molte cose, ho avuto esperienze diverse, ho conosciuto tantissime persone; alla mia età (sono nato nel 1941) possono dirlo più o meno tutti. Mi piacciono molto le esplorazioni di luoghi poco frequentati perché i più preferiscono evitarli Ci sono stati momenti in cui sono stato “famoso”. Ad esempio nel 1971 quando a L’Aquila ci furono moti per il capoluogo durante i quali furono devastate le sedi dei partiti, compresa quella del Pci, di cui io ero segretario regionale. Ma, soprattutto, nel 1982 per il cosiddetto “caso Cirillo”, quando l’Unità pubblicò notizie sulle trattative fra Dc, camorra e servizi segreti per la liberazione dell’esponente campano dello scudo crociato sequestrato dalle BR. Io ero il direttore de l’Unità e mi dimisi perché usammo un documento “falso”; che, però, diceva cose che si sono dimostrate, poi, in gran parte vere. Sono stato in Parlamento e nella Segreteria del Pci al momento in cui cadde il Muro di Berlino, e anche Presidente della Rai. Con queste funzioni sono stato “noto” ma non “famoso”. La fama te la danno i media. Io, durante il caso Cirillo, ho avuto l’onore di una apertura su tutta la prima pagina de La Repubblica: “Petruccioli si è dimesso”. Quanti altri possono esibire un trattamento del genere? PS = Una parte di queste avventure le ho raccontate in “Rendiconto” (Il Saggiatore) e “L’Aquila 1971” (Rubbettino)

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