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Manuale di sopravvivenza

Cronaca della fine del mondo

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Era il 31 dicembre ed ero concentrato. Non pensavo alle decisioni che anche quest’anno non avevo preso e potevano ormai solo essere rimandate all’anno nuovo. Anzi, pur essendo assai concentrato, non pensavo affatto, stavo seduto sulla tazza del cesso e l’unico mio proposito a breve termine era quello di liberarmi di cose non tanto vecchie ma che l’organismo reputa del tutto inutili.
Dunque ero seduto sul cesso e leggevo il giornale quando, all’improvviso, mi compare un tizio vestito d’azzurro.
Un vellutino cangiante con un taglio primi anni ’70. Giacca doppio petto e pantaloni scampanati. Anzichè una camicia con volant indossava una maglia bianca con su scritto DIO C’È. Il primo pensiero fu che si trattasse di uno spacciatore riconvertito a ladro di appartamenti.Ma il suo sguardo – come dire? pacioso, sereno, rassicurante, oserei dire celestiale ( non nel senso del colore) – portava ad escludere che si trattasse di un tossico.
“Giorgio – esordì allargando le braccia – sei stato scelto per annunciare la fine del mondo!” Capita spesso che la prima impressione non sia quella giusta. Capitò pure a me quel 31 dicembre. Il tizio con l’abito azzurro era certamente fatto. Sembrava un omino di burro in celeste che mi proponesse non una gita nel paese dei balocchi bensì la gloria eterna sotto forma di un’annunciazione, unica e sola. Signore e Signori le nostre trasmissioni sono finite. Non per oggi, miei cari abbonati, ma per sempre!
Stavamo seduti in cucina a bere un caffè. Al tizio aveva sciolto la lingua. Mi stava raccontando che si chiamava Remiel (probabilmente il Ramiel dell’Apocalisse ) e che il Capo lo aveva scelto per individuare in ogni Stato l’eletto che avrebbe dovuto annunciare la fine del mondo.

In Italia ero stato scelto io. Ok, dico io, facciamo finta che tu sia in possesso delle tue facoltà mentali; in qual modo dovrei realizzare quest’opera angelicale? Montando sulla mia Octavia rossa un altoparlante e poi scarrozzandomi in giro per la città a mo’ di arrotino celeste che invece di arrotare i coltelli affila le fobie di grandi e piccini? Mi guarda soddisfatto e accavalla le gambe!
Al che il caffè appena ingurgitato si arrampica per l’esofago e mi riempie la bocca mescolandosi ai succhi gastrici e alla saliva. Respiro profondamente e trangugio il tutto, per evitare di aggiungere un altro tassello di realtà all’abbondante realtà di quel momento. Il fatto è che Remi (detto amichevolmente) accavallando le gambe non soltanto aveva mostrato calzini celesti (il colore) ma soprattutto scarpe con vertiginose zeppe, precise identiche a quelle dei gemelli Michetti.
In questa posizione rilassata Remi, un po’ stupito, mi dice:
“Ho capito, tu hai paura della fine del mondo.” No, proprio no, gli dico. L’unica cosa sensata di questo mondo mi sembra proprio la sua fine!
È che mi pongo un problema di comunicazione.
“Ma insomma Giorgio sei o non sei un avvocato?”
“Si, certo, ma che c’entra?”
“Sei o non sei un napoletano che vive a Roma da tanti anni?”  Vabbuò e allora? “Sei o non sei abituato a fare discorsi in pubblico” Beh ora non esageriamo; i discorsi li faccio ogni giorno ma, invero, non è che siano molto ascoltati.
“Allora sei proprio tu, caro Giorgio.”
Aggio capito ma non riesco a capire come e quando potrò annunciare la fine del mondo agli italiani? “Semplice, stasera nel tradizionale discorso di fine anno alle italiane ed agli italiani.” A quel punto la realtà si compì definitivamente e Remi ebbe l’onore di assistere all’emesi del caffè sugli iris di Vincent dell’incerata. Cazzo! Remi io non sono Giorgio Napolitano! Io mi chiamo Giorgio Napolitani e non ho nemmeno 50 anni!

Per quanto vi possa parere insolito, specialmente dopo aver condiviso la mia esistenza tra la tazza del cesso e il vomito sul tavolo della cucina, io – Giorgio Napolitani – c’ho una mia reputazione tra i giudici del tribunale di Roma, i quali, tra l’altro, si distinguono per la loro stronzaggine. Nel senso che si divertono a martoriare gli avvocati. Principalmente quando gli danno ragione.

Il modo di dire “hai vinto la causa nonostante il tuo difensore” viene costantemente tradotto nelle sentenze. È facile leggere frasi del tipo: “la prospettazione di parte ricorrente (o resistente) è del tutto infondata, tuttavia la domanda va accolta per questi altri profili, ecc.” È ovvio che anche un cliente che sappia appena leggere, riscontrando un tale ragionamento, ti faccia presente l’insensatezza di dover pagare la parcella ad un avvocato il quale, secondo la prospettazione (parola che, non si sa com’è, anche i clienti semianalfabeti imparano subito) del Giudice, non capisce proprio un cazzo!
Io non ho di questi problemi perché i giudici hanno sempre accolto le mie tesi. Anche nelle ipotesi (che poi riguardano l’80 % dei casi) in cui hanno dato torto al mio cliente.  In altre parole, a me accade esattamente il contrario di quanto appena raccontato. La sentenza prende in considerazione le mie tesi, il giudice scrive che sono convincenti, che gli argomenti da me sviluppati sono logici, coerenti, solidi e, infine, senza far mancare un pizzico di suspense, mi dà torto, quasi scusandosi. Anzi direi che è possibile cogliere,  nelle motivazioni della decisione, un leggerissimo, ma pur sempre palpabile, disappunto per essere stato costretto a respingere il ricorso, a disattendere la domanda. Ma che vuoi fare (quasi mi sembra leggere il pensiero dell’estensore della sentenza) caro Giorgio la legge è legge per quanto dura e, soprattutto, imperscrutabile. Tale atteggiamento di comprensione – oserei dire di delicato affetto – dei giudici nei miei confronti è certamente favorevole al consolidarsi della mia reputazione, ma nulla di più.
I miei clienti – anche se un po’ imbarazzati a causa della mia reputazione – ugualmente decidono di non pagarmi giustificando l’inadempimento con il rischio di offendere un avvocato così stimato dai giudici, che con la sconfitta nella causa si sarà certamente sentito umiliato a tal punto da non poter accettare compensi di sorta e nemmeno ringraziamenti, sentiti o meno.
Ora, questa mia consolidata reputazione – riconosciuta e garantita da magistrati e clienti al punto che la mia figura risulta attorniata da un’aura, se non di santità, quantomeno di elevazione estatica nei ranghi forensi, sospinta dalla sensibilità quasi commovente dei miei numerosi e morosi rappresentati e dall’impagabile (è un vizio comune) stima di coloro che decidono in nome del popolo italiano – quel 31 di dicembre poteva essere distrutta in un secondo a causa della mia uscita dall’appartamento di via del Boschetto accompagnato da Remiel .
Avevo preso le mie precauzioni calcandomi in testa un berretto e un paio di occhiali da sole, camminando rasente i muri un passo avanti a Remiel come usano gli islamici con le loro donne.

 

Mentre mi voltavo, per assicurarmi che mi seguisse, gli dissi:
“Remi, sei stato fortunato, il Quirinale è qui vicino. Attraversiamo via Nazionale, imbocchiamo via Parma e siamo arrivati. Ora mi spieghi perché questa decisione di far conoscere a tutti quando ci sarà la fine del mondo?”
Remi si blocca e, mentre d’un tratto scompare quell’espressione di bonomia e pacata comprensione che fino a quel momento il suo viso aveva mostrato, mi sogghigna in modo luciferino: “Giorgio, ma che minchia dici!”
“Salvezza per i cristiani è la liberazione dal peccato.” Eravamo seduti nei giardini di via del Quirinale e Remi da ormai un quarto d’ora mi stava spiegando le ragioni commerciali (ha detto proprio così) per le quali occorreva che tutto il mondo sapesse della sua imminente.
A proposito, pensai, imminente quanto? L’angelo vestito come un camorrista aveva taciuto questo particolare e  continuava invece a scassarmi con la salvezza messianica: “È, caro il mio Giorgio, una questione di esclusiva. Se sarà un emissario della religione cattolica ad annunciare la fine del mondo milioni e milioni di persone si convertiranno e il mondo parlerà una sola lingua di amore e di pace.”
“Ho capito, dissi, mi sembra chiaro, ma permettimi due obiezioni. La prima. Perché la fine del mondo non l’annuncia il Papa in persona e poi, seconda domanda, che ve ne fate dell’esclusiva e di ottenere lo share delle conversione poi ci sarà la fine del mondo?”
“Be’ Giorgino mio – mi fa, tenero come una pecorella smarrita – il fatto è che la tattica ci impone di non mettere in campo, in questo momento, il nostro miglior giocatore.”
“Scusa, Remi, senza offesa, ma il vostro allenatore mi sembra peggiore di Aldo Agroppi. Se non mettete in campo ora il vostro miglior giocatore quando lo volete mettere in campo? E a proposito, dolce Remi, quando sarebbe ‘sta fine del mondo? Particolare che ancora celi accuratamente.” “Giorgio mio, poiché tu non sei il Capo dello Stato io non sarei tenuto a dirti proprio un bel niente, tuttavia mi sembra che sia giunto il momento di chiarire alcune cose.”
Mi accorsi che mentre stava parlando la sua persona si era illuminata come se fosse un enorme neon. Il vestito celeste ora sembrava quasi fluorescente e luccicava come una sfera stroboscopica. “Allora – continuò – tienti forte perchè debbo darti una bellissima notizia e un’altra un po’ deludente.” Io, pessimista per natura, gli dissi di cominciare dalla notizia deludente: “No, è necessario che iniziamo dalla notizia bellissima” e di getto fece: “Dio c’è! E guarda che non è un gioco di parole per dire che in un tal posto puoi trovare la droga, come tu avevi pensato in un primo momento vedendo la mia maglietta. Voglio dire invece che Dio esiste veramente. Io lo conosco e collaboro con lui.”
“Senti Remi, gli dissi, ti vedo molto ispirato e capace di fare cose (come l’illuminazione al neon) non proprio umane, ma non sei il primo che mi racconta che Dio esiste.”
“È vero, ma sono il primo che ti dirà tutta la verità. E qui viene la notizia deludente. Sai, penso che sia proprio la piccola delusione che sto per darti che ti proverà che io non ti racconto fandonie.” Beh sentiamo. “Sai Giorgio quelle cose che hai imparato al Catechismo su Dio come Onniscente e Onnipotente?” Sì, mi ricordo!
“Ecco, non sono del tutto vere!” Ma stai scherzando? “No, purtroppo. Dio c’ha un capoccione così! Sa tutto di tutti e c’ha una forza e una capacità creativa incredibili, però purtroppo una piccola cosa  non la può proprio fare e c’è una cosa, una piccola cosa che proprio non sa.” E sarebbe? ” Proprio non ci arrivi da te, Giorgino?”

O cacchio! La fine del mondo! “Già proprio quella, avvocato Napolitani! La fine del mondo non dipende da lui. O per meglio dire, una volta è dipesa da lui ma ora non più!” Aspetta un secondo Remi, mi sta fumando il cervello! Che significa? “Significa che ha programmato la fine del mondo ma non si ricorda più quando avverrà. Quest’anno ha cominciato con il dire che gli sembra di ricordare che sia dopo il 2000 e che ci sono due uno ma poi non si ricorda altro.”
A me piace il sudoku; valutai che le probabilità non erano proprio infinite: 2011, 2101, 2121, 2131… Remi, leggendomi nel pensiero, proseguì “3011, 3101, ecc, 4011, ecc., 5011… Sì ma due anni fa pensava che ci fossero due zeri e un nove!”. Ahia! Un bel casino un Dio smemorato. “È il suo grande cruccio.”
La sera era scesa senza speranze, era dolce e puzzava di smog e di merda di cane. Il cuore mi si stava intenerendo, e più passava il tempo più andava maturando un’idea. Guardavo il Palazzo del Quirinale e pensavo al nostro Presidente, persona di indiscusse e indiscutibili serietà ed onestà, che avrebbe dovuto annunciare all’Italia una cosa tanto sconvolgente quanto poco sicura assai solo per cercare di realizzare un’operazione certamente di alto valore etico ma pur sempre di marketing . Pensavo che, in definitiva, c’era una persona più avvezza alle operazioni di marketing ed anche alle figure di merda. Le une e le altre non tutte a lui imputabili, ma, non si sa come, sempre da lui attratte quasi fosse un parafulmine. Pensai: in fondo una figurella in più che cosa vuoi che sia. Poi lui è capacissimo di mutarla in suo favore. Di colpo mi alzai e abbracciai la sfera stroboscopica. Caro Remi, dissi, perchè non chiami il tuo Capo e gli prospetti la possibilità di un piccolo cambiamento di programma?

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